LABORATORIO - DOPO LA PANDEMIA
Il rancore è all’orizzonte
Ese dopo la solidarietà arrivasse il tempo del rancore? Se nel momento di pagare il conto di una crisi che come al solito ha pesato sui più deboli montasse un’ondata di rabbia dagli esiti difficili da gestire? Non si tratta di scenari poi così lontani. Ma poi, di quali scenari bisognerebbe parlare? Li abbiamo chiari? Ci siamo intesi su cosa vogliamo mantenere e cosa non vogliamo più? Il politologo Vittorio Emanuele Parsi, nel libro “Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo. La speranza oltre il rancore” (Piemme, Milano, 2021 pagine 203 euro 16,90), prova a rispondere a qualcuno di questi interrogativi.
Lo fa partendo però proprio dall’ultima parte del titolo, per spiegare come nasce un sentimento che non può essere confuso con l’invidia sociale e perché bisogna farci i conti se si vuole ricostruire su basi più solide rispetto a quelle sulle quali abbiamo fin qui edificato il nostro modello di convivenza mondiale e di sviluppo.
Si fa presto a dire che niente sarà come prima: più difficile è prevedere quale orizzonte sta per schiudersi davanti ai nostri occhi, una volta abbassata la mascherina. Parsi, intanto, parte da una osservazione amara quanto realistica: durante il periodo più buio della crisi non eravamo tutti sulla stessa barca, «perché — osserva — gli armatori del vascello chiamato iperglobalizzazione non erano a bordo con noi».
Erano occupati a incassarne i proventi. Passata l’ora più nera, il primo impatto del lockdown, si è fatto più chiaro che anche mentre le strade erano deserte e mentre appendevamo ai balconi le bandiere e salutavamo con inedito affetto i vicini, c’era qualcuno che continuava a contare le banconote, anche quelle che di lì a poco gli si sarebbero materializzate fra le mani. Così, con le prime riaperture, «il rancore si è manifestato mentre la politica tornava a mostrare tutti i suoi limiti», scrive Parsi. Tra le mancanze più odiose, quella «litigiosità aberrante» della classe dirigente, che se si spiega con una «reale incapacità immaginifica», di progettazione, «è anche effetto di una scarsa conoscenza del presente».
Il paradosso, spiega l’economista, è che il conflitto, oltre che fisiologico, è una dimensione essenziale alla crescita («Se si priva la politica della sua dimensione conflittuale la si riduce a mero ambito di costruzione del consenso»). Riflessione che spinge Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università cattolica di Milano, a giudizi molto severi («la politica italiana — scrive per esempio — si è ripresentata nella sua triste veste di “farsa tragica”, alla fine della quale una gara fra illusionisti di provincia si conclude con la sgangherata truffa che ha per oggetto la modesta fortuna di un pubblico povero e sprovveduto»). Una severità che non priva però l’autore dell’indispensabile apertura di credito nei confronti del futuro. Perché, scrive, «quella della speranza, oltre il mare del rancore, è la nostra “isola che non c’è”».
C’è un futuro, dunque, ancora da scrivere. Tutte le possibilità sono aperte. Fondamentale è l’evolversi della politica internazionale e degli equilibri mondiali, di cui Parsi è studioso. Tutto dipenderà dalle scelte che saranno fatte. Partendo da alcune tendenze in atto e da alcuni avvenimenti che si sono verificati nell’ultimo anno, nel libro si individuano tre grandi scenari possibili, che riecheggiano altrettanti momenti cruciali della Storia: la Restaurazione, la fine dell’Impero romano d’occidente e il Rinascimento. A grandi linee, il primo scenario coincide con il perpetuarsi in futuro del confronto fra Usa e Cina, con l’Ue soggetto litigioso in un continente nel quale a farla da padrone sono i Paesi del centro e del nord: il rischio, scrive Parsi, è che le differenze e le iniquità si accentuino mettendoci di fronte a «una bomba sociale gigantesca». Il secondo scenario è quello di una progressiva dissolvenza dell’Unione europea, di un indebolimento degli Stati Uniti e di una progressiva crescita dell’influenza cinese e del potere militare russo. Il terzo, quello del Rinascimento, è lo scenario nel quale tra capitalismo di mercato e capitalismo di Stato prevale un modello occidentale non appiattito su quello anglosassone, che, secondo Parsi, ha alimentato le storture oggi drammaticamente evidenti. Per favorire il realizzarsi di questo scenario occorrerebbe fra l’altro, scrive l’autore , la trasformazione del debito a lungo termine contratto dai Paesi dell’Ue durante la crisi della pandemia.
Quale sia il futuro più auspicabile è abbastanza evidente. Ma non si tratta solo di sogni. Nonostante tutto, conclude Parsi, «nel suo momento più buio l’Ue è riuscita nell’impresa più difficile: invertire la rotta e riaprire i cuori dei suoi cittadini alla speranza oltre il rancore…Sta a noi trarne la lezione più importante».
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