Oggi Roman Polański compie novant’anni. Siccome la polemica è dietro l’angolo ogni volta lo si cita, vorrei evitare la vexata quaestio del rapporto tra la moralità personale dell’artista e la sua opera, e invece soffermarmi su quest’ultima e, schivando i molti titoli “grandi e importanti” del suo cinema, da Chinatown a Il pianista, mi piace qui ricordare un film cosiddetto “minore” (perché si sa, la commedia è sempre minore rispetto alla tragedia... già, chissà perché) che invece brilla ancora oggi a cinquantasei anni di distanza: Per favore non mordermi sul collo, del 1967.
Polański ha trentaquattro anni, è un regista di successo e intorno alla sua bella fidanzata, Sharon Tate (che sposerà l’anno successivo e perderà tragicamente due anni dopo), costruisce la trama di questa commedia-horror che diventa a suo modo uno dei primi film di un genere esploso negli ultimi decenni, quello dei cacciatori di vampiri. Il titolo originale del film è Dance of the Vampires, e questo film è una danza, ovviamente macabra, dove ci si possono ritrovare tutti i topoi dei film vampireschi, ma trattati con una leggerezza e libertà che ancora oggi fanno di questo film un vero divertimento nel senso più alto del termine.
Dietro la danza e la risata, nel finale il film “morde” (è il caso di dire) e sputa il fiele di uno sguardo, quello del regista (la cui biografia, la madre morta ad Auschwitz, il padre uscito miracolosamente vivo da Mauthausen, gioca come sempre un peso decisivo), uno sguardo amaro sulla vita e sul mondo, visto come un luogo troppo incerto, ingiusto e violento per una vita pienamente umana; resta allora soltanto ridere e danzare, senza però cadere nella facile scorciatoia del lieto fine e, purtroppo, nemmeno nella strada più dura e impegnativa della speranza.
A.M.