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Verso il Giubileo
6. Sul sepolcro di san Paolo

Alle origini del cristianesimo romano

 6. Sul sepolcro di san Paolo  QUO-149
03 luglio 2024

Primi anni del Duemila. Un rinnovato interesse nasce intorno alla figura di Paolo di Tarso. Sensazionali scoperte portano alla luce prima il più antico ritratto dell’Apostolo delle genti nelle catacombe romane di Santa Tecla, successivamente un sarcofago di marmo grezzo sotto l’altare papale della basilica ricondotto all’autore delle tredici epistole del Nuovo Testamento.

La conferma viene data il 29 giugno 2009, durante i primi vespri a chiusura dell’Anno paolino, da Benedetto xvi . In quell’occasione comunica i risultati dell’attenta analisi scientifica condotta sul sepolcro a duemila anni dalla nascita di Paolo: una sonda speciale introdotta nel sarcofago ha rilevato tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino, di un drappo di colore azzurro con filamenti di lino, di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Sono stati individuati inoltre piccolissimi frammenti ossei. Questi ultimi sottoposti all’esame del carbonio 14 condotti da esperti, ignari della loro provenienza, sono stati ricondotti a una persona vissuta tra il i e il ii secolo. «Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo» commenta Papa Ratzinger.

A quindici anni di distanza ci rechiamo nei pressi del sepolcro, accompagnati da padre Lodovico Torrisi, maestro dei novizi nell’abbazia di San Paolo fuori le Mura, retta fin dall’ viii secolo dai monaci benedettini. «La tomba non è mai stata aperta — spiega — perché le vibrazioni per rimuovere il coperchio, il contatto con la luce e l’ossigeno potrebbero distruggere, disintegrare, ciò che è rimasto del corpo di Paolo».

Ai piedi dell’altare, sotto il meraviglioso ciborio realizzato nel 1285 dal celebre scultore Arnolfo di Cambio, sono visibili le pietre del sarcofago portato alla luce nel 2006 dai ricercatori. Una fiammella arde ininterrottamente, giorno e notte, a indicare la sacralità del luogo. Accanto è ben visibile un’urna di bronzo e vetro contenente la catena della prigionia romana dell’apostolo, presente nella basilica dal iv secolo e portata in processione all’interno dell’Aula ogni 29 giugno, solennità dei santi Pietro e Paolo.

Attraverso una grata si scorge, al di sotto del livello di calpestio, una lastra di marmo composta da due pezzi: misura 2,12 x 1,27 metri. Su di essa campeggia l’iscrizione Paulo apostolo mart e presenta tre orifizi: uno rotondo e due quadrati. Risale al iv-v secolo ed è testimonianza del culto che fin dalle origini interessò il luogo, prima ancora della costruzione di una chiesa. I fori avevano la funzione di ottenere reliquie di contatto, ovvero striscioline di stoffa che venivano introdotte fino a toccare il sepolcro.

«La decapitazione di san Paolo — prosegue Torrisi — è avvenuta molto vicino al luogo della sepoltura. A circa quattro chilometri dalla basilica, alle Acque Salvie, dove oggi sorge l’abbazia delle Tre Fontane. Qui Paolo fu condotto dal Carcere Mamertino in cui era tenuto prigioniero. Gli storici non hanno ancora compreso il motivo per cui il martirio si svolse qui». Venne decapitato fuori dalle Mura Aureliane, in una località caratterizzata da aria insalubre, nei pressi della via Ostiense tra il 65 e il 67, sotto l’imperatore Nerone.

La testa cadendo a terra rimbalzò tre volte e secondo la tradizione in quei tre punti fuoriuscirono miracolosamente tre sorgenti: la prima calda, la seconda tiepida, la terza fredda. Sul viale che costeggia lateralmente l’abbazia trappista in tempi abbastanza recenti è stato ricostruito un selciato simile a quelli dell’antica Roma per rievocare la strada percorsa dal santo prima dell’esecuzione. Un’iscrizione in marmo sulla facciata delle chiesa di San Paolo al martirio, costruita nel v secolo, rinnovata nel 1599 dall’architetto Giacomo Della Porta, e parte del complesso abbaziale, recita: «S. Pauli Apostoli martyrii locus ubi tres fontes mirabiliter eruperunt». All’interno del tempio sono visibili tre edicole costruite su ognuna delle fonti allineate alla stessa distanza, ma a livelli diversi. Dal 1950, in seguito all’urbanizzazione e al conseguente inquinamento della falda, il flusso dell’acqua è stato chiuso ed è cessata la distribuzione ai fedeli.

Fatto imprigionare dagli ebrei, Paolo era giunto a Roma nel 61 per esservi giudicato quale cittadino romano. Nato ebreo con il nome di Saulo godeva infatti della cittadinanza romana come tutti gli abitanti di Tarso, la sua città di origine, nella Cilicia, a sud dell’attuale Turchia. Trasferitosi a Gerusalemme era divenuto uomo di fiducia del Sinedrio e in seguito un accanito persecutore dei cristiani. Sulla strada per Damasco nel 36 avvenne la sua conversione. «San Paolo — osserva padre Torrisi — è rappresentato con la spada per indicare come ha difeso la Parola di Dio. Per difendere il Vangelo poi è morto di spada con una morte atroce, da valoroso combattente».

«Si dice che dopo la decapitazione una matrona romana, cristiana, si prese cura del corpo, lo collocò in un sarcofago e venne sepolto sulla via Ostiense» aggiunge il benedettino. Secondo i racconti che sono giunti fino a noi questa donna si chiamava Lucina: a due miglia dalle Acque Salvie possedeva un’area sepolcrale all’interno di un cimitero pagano che contava circa cinquemila tombe. Gli scavi hanno confermato l’esistenza di questa necropoli con loculi e fosse per poveri e schiavi affrancati. La testa di Paolo fu rinvenuta in un secondo momento ed è conservata, sopra il ciborio della basilica di san Giovanni in Laterano insieme a quella di Pietro, sepolto nelle Grotte vaticane. Stando al Martirologio romano i due furono uccisi nello stesso giorno.

I loro resti mortali sono accomunati anche perché durante le persecuzioni furono entrambi messi al riparo all’interno delle catacombe di San Sebastiano. Lo documentano alcuni graffiti ed ex voto rinvenuti nel sito archeologico sulla via Appia. Successivamente le spoglie dei due patroni di Roma furono ricondotte nei luoghi di inumazione originari.

Il sito della sepoltura di Paolo divenne da subito meta di pellegrinaggio per i fedeli che qui si recavano in preghiera e in omaggio al Santo edificarono una cella memoriae. Fin dai primi anni numerosi battezzati decisero di farsi seppellire nell’area circostante e la necropoli da pagana progressivamente si trasformò in cristiana.

«Tanti scelsero di far collocare la propria tomba nelle vicinanze di quella dell’apostolo» ricorda l’abate mostrando le numerose epigrafi in latino, greco ed ebraico affisse sulle mura del chiostro dell’abbazia di San Paolo fuori le Mura, concepito e decorato da Pietro Vassalletto. «Durante i vari lavori di ricostruzione, scavo o rafforzamento delle fondamenta qui furono trovati tanti reperti, tombe pagane e cristiane. Probabilmente si trattava di persone di un certo calibro sociale. Il cristianesimo romano nasce proprio in questa zona». Tra i manufatti più pregevoli rinvenuti in quest’area nel 1838 spicca il “Sarcofago dogmatico”, iv secolo, custodito oggi ai Musei Vaticani.

Sancita la libertà di culto nel 313 dell’era cristiana. con l’Editto di Milano l’imperatore Costantino volle onorare degnamente la memoria dell’Apostolo delle genti monumentalizzando nel 324 il luogo della prima sepoltura con una basilica, il cui basamento è visibile ancora oggi ai piedi dell’altare papale. Il corpo del santo venne dapprima chiuso in una cassa di rame. Il tempio, inizialmente non molto grande, fu fatto ampliare successivamente dagli imperatori Teodosio, Arcadio e Valentiniano ii , diventando così una basilica molto ampia, a cinque navate nota come “teodosiana” o “dei tre imperatori”.

Tra il xii ed il xiii s ecolo nel cantiere si avvicendarono grandi personalità artistiche come Pietro Cavallini, i cui affreschi purtroppo andarono perduti, e Arnolfo di Cambio, autore del ciborio sopravvissuto, insieme al pregevole candelabro per il cero pasquale del Vassalletto, al devastante incendio che nel luglio 1823 in una sola notte distrusse la basilica teodosiana.

Ignote le cause del rogo, da alcuni ricondotte ad una torcia lasciata forse incustodita da operai che lavoravano alla riparazione del tetto. Il giorno seguente alla catastrofe i romani si recarono in massa a vedere ciò che rimaneva della chiesa. Lo scenario era desolante e straziante. Un testimone d’eccezione, lo scrittore francese Stendhal, lo descrisse come «uno dei più grandiosi spettacoli» mai visti: «Ne ebbi un’impressione di severa beltà, triste quanto la musica di Mozart. Erano ancora vive le vestigia dolorose e terribili della sciagura; la chiesa era ancora ingombra di nere travi fumanti, semibruciate; i fusti delle colonne, spaccati per tutta la loro lunghezza, minacciavano ad ogni istante di cadere».

Il 25 gennaio 1825, con l’enciclica Ad plurimas, Leone xii lanciò ai fedeli un appello per la ricostruzione del tempio: verrà ricostruito in modo identico, riutilizzando i pezzi risparmiati dal fuoco per preservare la tradizione cristiana delle origini e, consacrato da Pio ix il 10 dicembre 1854. A San Paolo fuori le Mura prese vita in quegli anni il più imponente cantiere della Chiesa di Roma del xix secolo. La basilica che ne scaturì è esattamente quella che oggi si presenta al nostro sguardo.

Al richiamo di Leone xii risposero in massa non solo i cattolici, ma il mondo intero: blocchi di malachite e di lapislazzuli furono donati dallo zar Nicola i , così come colonne e finestre di finissimo alabastro giunsero dal re Fouad i di Egitto. Paolo di Tarso si confermò in quell’occasione un punto di riferimento universale per credenti e gentili. Evocativi della coralità di persone radunate attorno a questo gigante della cristianità sono i pannelli marmorei sui muri dell’abside su cui sono incisi i nomi dei numerosi cardinali e vescovi presenti il giorno della consacrazione. Si trovavano a Roma per la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione. Celebrarono insieme al Successore di Pietro, simbolicamente sotto lo sguardo di tutti i Papi della storia ritratti a mosaico nei grandi medaglioni che decorano le navate dell’aula.

Come è noto l’apostolato di Paolo si estese dagli ebrei a tutte le genti: in Arabia, Asia Minore, Macedonia, Cipro, Grecia fondò numerose comunità cristiane. Emblematica del peregrinare dell’Apostolo delle genti è la reliquia del bastone utilizzato durante i viaggi, conservata nel museo della basilica romana. «Paolo è venerato dalla popolazione mondiale, cristiana e non — ricorda padre Torrisi —. È una figura fondamentale per l’unità dei cristiani». Nella basilica si svolgono celebrazioni ed eventi ecumenici. A questo luogo sono legati episodi e oggetti particolarmente significativi da questo punto di vista. Qui, nell’appartamento dell’abate, Giovanni xxiii il 25 gennaio 1959 annunciò ai cardinali l’intenzione di indire il concilio ecumenico Vaticano ii . Nel 2006, inoltre, Benedetto xvi portò a compimento il desiderio di san Giovanni Paolo ii di donare due anelli delle catene dell’Apostolo delle genti al Patriarca di Atene Christodoulos.

Infine nel percorso verso la piena comunione tra cristiani un posto di primo piano lo occupa la porta santa della basilica di San Paolo che si aprirà il prossimo 5 gennaio: «Ha un valore importantissimo. Fu costruita a Costantinopoli e donata nel 1070. Originariamente era posta all’ingresso principale. L’incendio la danneggiò, riducendone le dimensioni. Fu così spostata in un ingresso laterale. In vista del Giubileo — conclude padre Torrisi — ci auguriamo che fedeli, pellegrini e turisti provenienti da tutto il mondo qui vivano una bella esperienza di profonda conversione e fede, unione e contatto con il Signore attraverso la testimonianza dell’apostolo Paolo».

di Paolo Ondarza