Verso il Giubileo
Il restauro della più celebre fra le icone mariane è stato condotto nel 2018
dai Musei Vaticani
La più celebre fra le icone mariane che la tradizione figurativa romana annovera come «non dipinte da mano umana», e che la leggenda riconosce come di origine divina, è la tavola di Santa Maria Maggiore, particolarmente cara alla pietà popolare e tanto legata all’identità cittadina da meritare l’appellativo di Salus Populi Romani: salvezza del popolo di Roma.
La datazione dell’icona, assai controversa, è tutt’ora oggetto di dibattito e motivo di confronto per gli studiosi specialisti. Le analisi e i risultati del restauro condotto con devozione e professionalità dai Musei vaticani nel 2018 sono stati resi noti nel 2022 nel volume Salus Populi Romani. Il restauro dell’antica icona della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, Edizioni Musei Vaticani a cura di chi scrive. Nel febbraio del 2023 è stato dedicato un “Giovedì dei Musei” di approfondimento al tema alla presenza del cardinale Stanisław Ryłko, arciprete della Basilica Liberiana e promotore dell’intervento conservativo.
Tradizionalmente ritenuta originaria di Gerusalemme, dove sarebbe stata dipinta dallo stesso san Luca, per comparire poi a Roma sotto Papa Sisto iii (432-440) ed essere da lui donata alla Basilica costruita da Papa Liberio sull’Esquilino (352-366), l’immagine mostra in realtà caratteri di stile cronologicamente più avanzati: se l’iconografia della Madre col Figlio fonde il tipo greco della Odighitria con quello della Glykofilousa, rimandando al canone pre-iconoclasta della primitiva arte bizantina e orientando quindi verso una datazione “alta” del manufatto ( viii-ix secolo), la stesura differenziata degli impasti cromatici, che alterna alla descrizione calligrafica di vesti e accessori la costruzione strutturata delle mani e dei volti, avvicina il dipinto a prodotti consimili del Medioevo romano, venendo di conseguenza a situarsi tra il secolo xi e il xiii.
Posta inizialmente nella navata principale della Basilica Liberiana la sacra immagine si trova dal 1613 nell’attuale collocazione, sull’altare della Cappella Borghese in Santa Maria Maggiore, all’interno di una teca bronzea munita di cristallo, con iscrizione dedicatoria di Papa Paolo v , Camillo Borghese, che fu Pontefice fra il 1605 e il 1621.
La tavola ci mostra l’immagine familiare della Mater Dei dignissima (Theotókos), vestita di un manto azzurro fregiato d’oro (il maphorion), mentre porta avanti le braccia per sorreggere il Bambino, tenendole incrociate all’altezza della vita: nella destra stringe una mappula, fazzoletto ricamato di uso cerimoniale, in origine collegato alla simbologia imperiale; con la sinistra, munita di anello, sembra accennare a un gesto, interpretato da alcuni come un’allusione di significato trinitario. Il mantello che ne disegna la figura le avvolge completamente le spalle e il capo, ma lascia intravedere la tunica, di cui fuoriescono le maniche e di cui si riconoscono porzioni all’altezza del petto e dei fianchi. La suprema eleganza dell’immagine, accentuata dalla fluidità dei contorni e dall’apparente disinvoltura della posa, è aumentata dall’intensità dello sguardo, parzialmente velato dalla penombra e diretto ostentatamente di lato. Il Bambino stesso, vestito di hymation e con la destra portata avanti in gesto di benedizione, rivolge il proprio sguardo alla Madre, mentre l’espressione adulta e il codice preziosamente rilegato che impugna con la sinistra conferiscono centralità e importanza al suo ruolo.
La Salus Populi Romani è dipinta su una tela ingessata e applicata su tavola; il supporto è costituito da due assi verticali congiunti, probabilmente decurtati nella terminazione inferiore e forse anche nella superiore; la cornice, aggiunta in un secondo momento, costituisce invece elemento a sé stante.
Il delicato intervento di restauro ha comportato un accurato studio preliminare e una serie di indagini eseguite presso il Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani dove sono state realizzate le analisi spettrografiche, fluorescenza ultravioletta indotta, infrarosso in falsi colori, riflettografia infrarossa e radiografia. Sulla base dei dati ottenuti sono stati poi decisi approfondimenti scientifici per la determinazione dei pigmenti impiegati (analisi xrf e Raman). Ulteriori indagini scientifiche sono state poi compiute sul supporto ligneo, per il riconoscimento della specie legnosa e per la sua datazione mediante radiocarbonio. Lo studio morfologico indica che le tavole centrali sono di tiglio, mentre quelle della cornice sono di frassino. I risultati del radiocarbonio, inoltre, indicano una datazione del legno, con una probabilità di oltre l’80 per cento, compresa tra la fine del ix e gli inizi dell’ xi secolo per la tavola principale, e tra la fine del x e la prima metà dell’ xi per la cornice perimetrale.
D’intesa con l’Amministrazione della Basilica, e con grande prudenza e senso i responsabilità considerato il valore devozionale e artistico della sacra immagine, si è quindi dato corso al restauro che si è svolto nel Laboratorio di restauro pitture dei Musei Vaticani, avvalendosi della sovrintendenza di chi scrive, coadiuvata dal dottor Guido Cornini, direttore del Dipartimento delle arti, e realizzato da Alessandra Zarelli, supportata da Massimo Alesi per la parte lignea, e coordinati dalla dottoressa Francesca Persegati. Il restauro ha comportato la pulitura generale dell’opera; al di sotto degli strati sovrammessi di colla e vernici ossidate, infatti, le condizioni generali dell’icona apparivano relativamente soddisfacenti: a prescindere dai danni diffusi provocati dall’applicazione dei pezzi di oreficeria, la pellicola pittorica della tavola si presentava in discrete condizioni conservative, ancorché punteggiata da stuccature e interessata da ritocchi e, appunto, vernici alterate. Si è proceduto quindi con relativa facilità ma con risultati sorprendenti di recupero dell’immagine originale. Sotto gli strati di vernice ossidata e vecchi restauri la pulitura è riuscita a recuperare la delicata cromia dei volti originali, l’intero manto della Vergine, quello meravigliosamente dorato del Bambino Gesù, il libro ed altre zone prima quasi illeggibili. Anche nella zona delle aureole la rimozione del pigmento rossastro che era stato sovrapposto ha permesso il recupero delle incisioni e dell’oro originale, e in quella del fanciullo della tripartizione antica: un risultato significativo e ha ridato una nuova luce e una nuova visione alla sacra immagine. Si è provveduto, infine, anche al risanamento del supporto ligneo e alla cornice, alterati negli anni da vecchi restauri e da attacchi xilofagi.
Tanti sono stati i momenti di confronto che si sono avuti fra la Commissione dell’amministrazione della Basilica Liberiana e quella dei Musei Vaticani per la conduzione del delicato e complesso restauro che hanno visto un coinvolgimento corale nelle decisioni.
In occasione dell’intervento di restauro è stata inoltre realizzata una nuova teca conservativa, identica nelle forme a quella attualmente in uso, munita però di maniglie e ridotta nello spessore, così da risultare meno pesante e più maneggevole per gli spostamenti che l’icona dovrà avere per le celebrazioni annuali e per i controlli periodici del suo stato conservativo. Questa soluzione, appositamente studiata dall’Ufficio del conservatore dei Musei Vaticani, coordinato allora da Vittoria Cimino e oggi da Marco Maggi, presenta inoltre il vantaggio di garantire le condizioni termo-igrometriche della tavola, stabilizzandone il microclima all’interno del contenitore.
La nuova teca risponde ai più elevati requisiti in termini di non invasività, maneggevolezza e sicurezza ed è dotata di vetri speciali con elevate qualità ottico-estetiche e di trasparenza, che garantiscono ai fedeli una ottimale visione della sacra immagine.
La teca, a perfetta tenuta e capace di limitare gli scambi d’aria tra interno ed esterno, dispone inoltre di un sistema di condizionamento passivo che, mediante l’utilizzo di uno speciale materiale “tampone”, è in grado di stabilizzare le fluttuazioni di umidità relativa e mantenere i parametri raccomandati dalle norme per la conservazione dei materiali costitutivi del dipinto, riducendo al minimo i profili di rischio e di attivazione di fenomeni di degrado. Il monitoraggio microclimatico, eseguito attraverso un sensore miniaturizzato dotato di microsonda a diretto contatto con il retro dell’opera, permette ai tecnici dell’Ufficio del conservatore dei Musei Vaticani di verificarne in modo continuativo le condizioni.
La Salus Populi Romani, al riparo da sollecitazioni meccaniche e vibrazioni, può così essere movimentata in totale sicurezza direttamente all’interno del nuovo contenitore espositivo, per tutte le occasioni liturgiche e nei controlli di manutenzione periodici che si svolgono sull’opera.
In tempi recenti — grazie all’impulso determinato dall’ar-ciprete coadiutore, l’arcivescovo Rolandas Makrickas, già Commissario straordinario per la Basilica — la nicchia che ospita la venerata icona è stata oggetto di alcune operazioni di riallestimento, che hanno riguardato sia l’installazione di un nuovo sistema di apertura meccanizzata degli sportelli marmorei sia la predisposizione e la regolazione di un nuovo impianto di illuminazione.
Le operazioni, che hanno visto il coinvolgimento della Direzione infrastrutture e servizi del Governatorato e della Direzione dei Musei Vaticani, hanno reso possibile la finalizzazione delle attività di automazione degli sportelli tramite l’installazione di due bracci meccanici — appositamente realizzati e certificati — e di bonifica del vecchio sistema di illuminazione, con messa in opera di nuove filature elettriche e profili metallici di sostegno in alluminio per i nuovi corpi illuminanti.
Contestualmente, l’Ufficio del conservatore ha curato la progettazione e la regolazione del nuovo impianto di illuminazione a Led, capace di superare i fastidiosi effetti d’ombra generati dal vecchio impianto, garantendo uniformità distributiva su tutta l’icona e riuscendo a esaltare porzioni precise dell’opera.
Le sorgenti adottate, prive delle dannose componenti ultraviolette e infrarosse, dispongono di uno spettro di emissione completo e uniforme, con caratteristiche tali sotto il profilo qualitativo da permettere la restituzione fedele delle cromie della Salus riscoperte dal recente restauro.
Il nuovo scenario luminoso, modulato di concerto al cardinale arciprete, rappresenta il giusto compromesso tra istanze espositive e di valorizzazione e quelle conservative, grazie all’attenta calibrazione dell’intensità luminosa, donando nuovo slancio cromatico all’icona ed esaltando al contempo con piccoli accenti gli incarnati dei volti e delle mani della Vergine e del Bambino.
Da oggi la celebre immagine ha quindi un volto nuovo, riportato a nuova luce e ripulito da secoli di vernici e interventi diversi e reso ancora più fruibile grazie a questi nuovi sistemi conservativi. L’immagine mostra il suo aspetto ieratico, deciso ma dolce, quello della Madre di Dio che protegge tutto il popolo romano.
L’ultimo intervento conservativo sulla tavola risale al 1931 e alla volontà del cardinale Bonaventura Cerretti, allora arciprete della Basilica, e di Bartolomeo Nogara, direttore delle Gallerie vaticane. Sappiamo che il restauro venne «eseguito con ogni regola d’arte» da Giovani Rigobelli e fu volto a ridare al dipinto «colore e vita». Riguardò principalmente l’asportazione della pesante lamina in argento «che copriva quasi tutto il dipinto, ad eccezione dei volti e di mezzo busto», fatta aggiungere da Gregorio xvi nel 1838 per poter applicare nuove corone in corrispondenza dei due visi. In occasione di tale rimozione, fu peraltro deciso di lasciare a vista «le due corone d’oro di Gregorio xvi , la collana con 3 ametiste, 4 topazi e 2 acquemarine alla quale poi venne anche attaccata la croce pettorale, mentre la stella a 12 punte, con la sostituzione dei diamantini mancanti, venne applicata sulla spalla della Vergine nella tavola stessa. Tutti questi materiali vennero rimossi nel 1988 ed esposti nel Museo del Tesoro della Basilica.
di Barbara Jatta
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