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DONNE CHIESA MONDO

PuntiDiOsservazione
Donne e comunità cristiana da una prospettiva africana

C’è una Chiesa
che vale la pena

 C’è una Chiesa  che vale la pena  DCM-008
07 settembre 2024

In base alla mia esperienza – e non potrebbe essere diversamente - ho la certezza che le donne si sentono e desiderano essere parte della Chiesa. È una esperienza maturata in diversi Paesi e culture in Europa, ma soprattutto nel continente africano, dalla cui prospettiva mi esprimo.

Le donne scoprono Gesù Cristo nella comunità cristiana


In primo luogo, direi che le donne trovano Gesù Cristo nell’ambito di una comunità viva di fede, in cui possono essere protagoniste del proprio progetto di salvezza. Ai nostri giorni - come pure agli albori del cristianesimo, e poi nel corso dei secoli – le donne si sentono attratte dalla sua figura, dalle sue parole e dai suoi gesti; e rispondono alla sua chiamata nelle diverse vocazioni all’interno della Chiesa.

Sono donne che hanno conosciuto la profondità della grazia di Dio, manifestata in suo Figlio; che viene dispensata nelle situazioni quotidiane, quelle più semplici e profondamente umane, come misericordia e compassione. Nel contatto spirituale con la persona di Gesù Cristo, le donne hanno scoperto il proprio valore, hanno vissuto l’esperienza interiore della salvezza e della liberazione che offre. Lui è una fonte di pace, profondità spirituale e benessere individuale. È un'esperienza di discepolato che apre gli orizzonti alla loro esistenza umana e credente in un mondo complesso.

Le caratteristiche della propria Chiesa


Il secondo elemento è la stessa comunità credente, con le caratteristiche proprie che la Chiesa ha nel continente africano. Generalmente gode di una buona immagine, come istituzione e come gruppo umano. È ovvio che ha anche i suoi peccati, ma conserva un atteggiamento profetico, di lotta per i diritti umani, di azione sociale, di solidarietà verso gli esclusi, di dialogo politico e di pacificazione sociale.

La società riconosce ai cristiani un alto livello di esigenza morale ed etica. In particolare di quell’etica che favorisce la parità di genere, perché, nonostante tutto, in seno al cristianesimo africano alle donne è stato sempre riconosciuto il loro valore. Quella che in altri ambiti viene spesso chiamata discriminazione positiva, nell’attività missionaria in Africa è stata una prassi costante. Molte donne, anche se non di religione cattolica, hanno ricevuto un’istruzione nei collegi e nelle scuole cattoliche, e hanno poi conservato quei valori umani e la consapevolezza del valore dell’essere donne.

La Chiesa in Africa non è un’istituzione arretrata, i cui unici protagonisti sono gli uomini, percepiti come lontani dalla realtà. Al contrario, la Chiesa partecipa alla vita del popolo, ha un ruolo centrale nella società e nelle dinamiche dei gruppi umani, cosa che le viene riconosciuta anche dalle persone non cattoliche. Come ha evidenziato il Sinodo, le sue caratteristiche sono «la comunione, la partecipazione e la missione». Ossia, la Chiesa si definisce come una grande famiglia, in cui tutti i membri si conoscono, si sostengono, condividono le esperienze della vita, pregano insieme, lavorano e attendono insieme la Gerusalemme celeste.

È una comunità che coltiva la dimensione spirituale umana e celebra la fede in modo creativo. Le esperienze e le emozioni umane trovano un adeguato canale di espressione nella liturgia. La comunione con gli antenati, i momenti chiave della vita (nascite, matrimoni, riti di passaggio e perfino i funerali) trovano un’eco nella solennità, nella bellezza e nella profondità spirituale delle cerimonie liturgiche. Queste sono un punto di attrazione per le persone. Degna di nota è anche la grandissima partecipazione delle donne ai gruppi liturgici e corali, che preparano le celebrazioni con la massima serietà, perché la comunione con Dio e con i fratelli, presenti e passati, passa sempre per la liturgia.

Supporto d’identità umana e crescita personale


La comunità cristiana è spesso un ambito di accettazione e inclusione. Le Chiese particolari (parrocchie, gruppi cristiani e movimenti di vario genere) creano un sostrato antropologico e sociale a cui appartenere. In quanto gruppo umano, offrono alla persona gli elementi di radicamento necessari, la sensazione di appartenere a un progetto vitale che vale la pena. In essa trovano un cammino di benessere psico-affettivo e sociale. Ciò è particolarmente evidente in situazioni di grandi migrazioni, motivate dalla guerra, dalla siccità, dalla fame, etc. Le persone trovano in qualsiasi luogo del proprio Paese e nelle nazioni in cui si rifugiano, un elemento di riferimento che va al di là del loro spazio iniziale. Questo perché nella comunità cristiana si generano legami interumani che preservano sia l’identità credente sia quella del gruppo culturale di origine.

Inoltre, la Chiesa è uno spazio di crescita: uomini e donne apprendono in modo costante, grazie alle numerose attività formative a livello umano e religioso. L’appartenenza alla comunità cristiana non è qualcosa di stagnante, e non è definita dall’abitudine, ma dalla ricchezza personale. Anche se non è alla portata della maggior parte delle donne frequentare la facoltà di teologia, sì lo è beneficiare di programmi d’insegnamento umano, cristiano e biblico, di livello medio. E di fatto sono molto presenti in questi programmi. Le donne sanno bene che solo se amplieranno la loro formazione teologica potranno cambiare la loro presenza nella Chiesa, potranno acquisire maggiore consapevolezza della propria situazione e libertà di pensiero. Si tratta di una misura lenta, ma dalle conseguenze profonde, che permarranno nel tempo.

Fattore d’inclusività


Esiste un’enorme ricchezza in ogni comunità parrocchiale e diocesana. L’istituzione lascia spazio al protagonismo personale delle donne, religiose e laiche, con attitudine alla leadership. Non vengono affatto ignorate. Le donne sentono che la “loro Chiesa” vale la pena. La percepiscono come uno spazio proprio e sanno di essere membri a pieno titolo. È un’esperienza che in altri ambiti geografici si è affievolita, forse perché si affidano alle donne solo ruoli di terzo o quart’ordine, trattandole come serve o strumenti senza volontà né capacità di decisione. Al contrario, le donne dimostrano grande capacità di contribuire, da ogni ambito, alla comunità ecclesiale.

In Africa, come in altre parti del mondo, la Chiesa ha volto di donna. Le donne africane sono spesso incaricate dei templi, coordinatrici dei servizi che si offrono, catechiste e annunciatrici del Vangelo; e, naturalmente, sono spesso anche le responsabili dell’azione caritativa e sociale della Chiesa. Sono presenti in tutti gli ambiti, cristiani e non, senza paura, sentendosi in ogni momento inviate in missione, per superare le frontiere sociali ed economiche, manifestando così la benevolenza di Dio verso ogni essere umano. La loro presenza accanto ai poveri e agli indifesi mostra il vero volto della Chiesa ed esplicita il comandamento nuovo dell’amore.

Inoltre, si trovano spesso donne come guide spirituali dei gruppi di riflessione e di preghiera, come predicatrici nei ritiri (soprattutto donne consacrate), come formatrici nei seminari (normalmente le migliori del corpo docente, ben preparate e più esigenti con gli studenti, che lavorano per una formazione non misogina del clero) e come animatrici in comunità cristiane di base. Ovvero, si trovano donne in tutti gli ambiti della vita credente. Ma non purtroppo nei ministeri ordinati, e neppure nella gerarchia e nel governo della stessa comunità a cui appartengono.

Come ha spiegato l’Osservatorio delle donne umofc , in loro esiste «il lancinante desiderio di realizzare cambiamenti urgenti nelle strutture ecclesiali, perché siano più eque, inclusive e vicine ai più fragili», tra i quali le stesse donne. Le donne sono consapevoli della loro dignità in quanto persone e battezzate, della ricchezza dei carismi ricevuti e dei loro contributi. Sono inoltre disposte a vivere la sfida di costruire insieme la comunità ecclesiale, ma non a vivere sempre in opposizione, dal punto di vista della minoranza esclusa o marginale; e questo perché le donne non sono una minoranza, al contrario costituiscono – per numero e ricchezza carismatica – la maggioranza nella Chiesa.

Rilevanza sociale


Le numerose vocazioni sacerdotali maschili sono un segnale dell’importanza dello status che si acquisisce entrando a far parte della Chiesa, che propende sempre al clericalismo. Il che si osserva anche in quelle donne che scelgono la vocazione consacrata, che acquisiscono una certa rilevanza sociale, rispetto agli altri uomini e donne. Ma anche le donne laiche trovano il proprio status all’interno della comunità, status che attribuisce loro un ruolo umano, sociale e credente, trasformandole in protagoniste del proprio progetto di vita e in agenti di evangelizzazione.

Ossia, le donne si integrano meravigliosamente nella Chiesa quando hanno un certo grado di protagonismo. È però necessario il riconoscimento da parte della stessa comunità cristiana. Si tratta di un dato di giustizia: riconoscere e valorizzare il contributo delle donne alla vita ecclesiale, come pure la qualità di tale apporto. Penso che il coinvolgimento delle donne nella Chiesa sarà tanto più grande quanto più verrà riconosciuto il ruolo che svolgono, includendo la loro presenza nelle strutture organizzative e decisionali di detta istituzione. In tal senso, abbiamo una questione in sospeso: superare gli effetti del dominio e, in molti casi della misoginia, clericale.

In definitiva, le donne non sono spettatrici, ma agenti attivi all’interno della Chiesa, pienamente consapevoli della loro identità e della loro missione. Sono presenti come promotrici delle attività e come destinatarie delle azioni pianificate da altri. Possiamo dire con assoluta certezza che la presenza e la partecipazione delle donne fanno della Chiesa una comunità umana e credente migliore. La loro presenza è essenziale per la vita e la missione della Chiesa.

di Isabel Alfaro
MC. Biblista e infermiera

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