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8 settembre, festa e evoluzione della devozione mariana

Il giorno in cui nacque Maria

 Il giorno in cui nacque Maria   DCM-008
07 settembre 2024

Celebriamo l’8 settembre la Natività di Maria, una delle più antiche feste mariane. Ne abbiamo notizia già nel iv secolo, a Gerusalemme, in coincidenza con la festa di dedicazione della basilica di sant’ Anna, costruita sul luogo presunto della abitazione di Gioacchino ed Anna, dagli Apocrifi indicati quali suoi genitori. In Occidente la si celebrerà a partire dal vii secolo per iniziativa di Sergio i , papa di origine siriaca.

Ovviamente non sappiamo quando Maria sia nata. Le date del suo ciclo, come quelle del ciclo del Signore (e di san Giovanni) sono tutte ipotetiche e legate a cicli astrali e/o agrari, felici transignificazioni di festività pagane. Di Maria sappiamo solo quello che ci narrano gli Apocrifi e non si tratta di dati “storici” come, del resto, non lo sono neppure quelli dei Vangeli.

L’8 settembre è, dunque, legato alla pietà popolare. Ben presto il popolo di Dio ha provato a colmare i “silenzi” delle narrazioni evangeliche, facendosi attento a dettagli immaginari ma edificanti. Si colloca in questa tensione verso eventi reali, di cui non sappiamo il dove quando e come, la celebrazione della nascita della Madre del Signore. Senza il suo “sì” non ci sarebbe stata l’incarnazione. Parte da lei la realizzazione del progetto di Dio che la fa degna dimora del suo Verbo.

Queste pesanti ragioni teologiche incrementano la venerazione, senza dimenticare che la presenza di Maria costituisce un correttivo alla lettura univocamente patriarcale della salvezza. Per suo tramite il popolo di Dio ha riacquisito quel “femminile divino” estromesso dalle religioni del Libro. Da qui un attaccamento a lei straripante, talora prossimo all’immaginario e al superstizioso. Dinanzi a un fenomeno, a tratti pesante e imbarazzante, a nemmeno dieci anni dalla fine del Vaticano ii , Paolo vi volle venisse elaborato un documento che ricalibrasse la devozione mariana. Si trattava di tesaurizzare quelle avvertenze già presenti nei numeri conclusivi della Lumen Gentium. La costituzione dogmatica sulla Chiesa aveva accolto la trattazione mariologica, restituendo alla Chiesa la madre del Signore quale suo membro eminente e singolare, suo tipo e modello; e tuttavia, citando Pio xii , papa d’intensa devozione mariana, aveva avvertito sulla necessità, ecumenica ma non soltanto, di abbandonare ogni vana e credula esagerazione.

La crescita di attenzione a Maria si mischia, infatti, nei secoli a manifestazioni immaginarie e immaginate. La stessa iconografia ci restituisce il modo diverso di guardare alla Madre del Signore. Dapprima la iscrive nelle absidi sottolineando la contiguità di lei alla Chiesa; per secoli poi l’associa al Figlio, sottolineandone i privilegi; finalmente nella modernità di nuovo la si disegna ed enfatizza da sola, mentre in polemica con il minimalismo della Riforma cresce l’enfasi sulla sua funzione, tutt’uno con l’incremento di pratiche devote. Non a caso noi cattolici-romani siamo stati accusati d’averla sostituita allo Spirito Santo in una eccedenza di prerogative che, in verità, gli appartengono. Si aggiunga a ciò il moltiplicarsi delle visioni vere o presunte, dei pellegrinaggi …. per non dire delle infinite flessioni con cui si legano a Maria diverse famiglie religiose. In tutto ciò bisogno pure leggere sottotraccia certa visione della donna e della donna madre, assunta quale antidoto alla crescita di coscienza delle donne e alla loro emancipazione.

L’esortazione apostolica Marialis Cultus, di cui ricorrono i 50 anni, promulgata il 2 febbraio 1974, nelle sue tre parti, resta a mio parere il più bel documento sin qui elaborato per far luce sulla Madre del Signore. Vi si respira l’entusiasmo conciliare e tutta intera la svolta antropologica propria di quegli anni. Per la prima volta, fuori dagli stereotipi devoti, si fa spazio alla immagine teologica di Maria.

Paolo vi presta attenzione a «Il culto della Vergine Maria nella liturgia» , secondo una duplice scansione: la «Vergine nella restaurata Liturgia Romana» ; Maria come «modello della Chiesa nell'esercizio del culto» . Sono davvero suggestivi i numeri nei quali la propone come Vergine in ascolto, Vergine in preghiera, Vergine madre, Vergine offerente. «Modello di tutta la Chiesa nell'esercizio del culto divino, … maestra di vita spirituale per i singoli cristiani … Maria … è soprattutto modello di quel culto che consiste nel fare della propria vita un'offerta a Dio».

Diretto com’è a promuovere «Il rinnovamento della pietà mariana» , il documento si sviluppa secondo tre note e quattro orientamenti. La «Nota trinitaria, cristologia ed ecclesiale nel culto della Vergine» richiama l’indole del culto cristiano – sempre ad Patrem per Filium in Spiritu Sancto -, non senza un accento esplicito allo Spirito ritornato protagonista della pietà come della ricerca teologica. Seguono, ed è la parte più originale, i «Quattro orientamenti per il culto della Vergine: biblico, liturgico, ecumenico, antropologico» . Per Paolo vi è fondamentale ricondurre Maria alla testimonianza della Scrittura, così come è importante legare la devozione verso di lei al tempo liturgico. Non meno rilevante è la necessità, già richiamata, di evitare qualunque cosa possa ostacolare il dialogo ecumenico.

Per la mia generazione, la Marialis Cultus resta legata all’orientamento antropologico. Infatti vi viene precisato come Maria non sia stata proposta all’imitazione dei fedeli per il tipo di vita che ha condotto o per l’ambiente in cui si è svolto, superati ormai in gran parte del mondo, ma perché «nella sua condizione concreta di vita … aderì … alla volontà di Dio (Luca 1,38); perché ne accolse la parola e la mise in pratica; perché la sua azione fu animata dalla carità e dallo spirito di servizio; perché, insomma, fu la prima e la più perfetta discepola di Cristo».

Il papa sa bene quali siano le difficoltà e le riserve che la nascente teologia femminista oppone all’immagine di Maria e proprio per questo distingue la sua immagine evangelica dalle rappresentazioni culturali di lei come vergine sposa madre. «La Chiesa – afferma - non si lega agli schemi rappresentativi delle varie epoche culturali né alle particolari concezioni antropologiche che stanno alla loro base, e comprende come talune espressioni di culto, perfettamente valide in se stesse, siano meno adatte a uomini che appartengono ad epoche e civiltà diverse» (n.36).

«La nostra epoca… è chiamata a verificare la propria cognizione della realtà con la parola di Dio e …a confrontare le sue concezioni antropologiche e i problemi che ne derivano con la figura della Vergine Maria, quale è proposta dal Vangelo. La lettura delle divine Scritture… tenendo presenti le acquisizioni delle scienze umane e le varie situazioni del mondo contemporaneo, porterà a scoprire come Maria possa essere considerata modello di quelle realtà che costituiscono l'aspettativa degli uomini del nostro tempo».

Ne scaturisce per le donne contemporanee, desiderose di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, la scoperta di Maria come donna che ha dato a Dio il suo consenso attivo e responsabile; la cui scelta verginale non ha significato chiusura ai valori dello stato matrimoniale…. . Una donna né remissiva né alienata; una donna forte che ha conosciuto la sofferenza, la povertà, l’esilio… Insomma una Maria che incarna i valori della coeva teologia della liberazione.

Gli esempi offerti sulla scia della Scrittura provano tutti come «la figura della Vergine non deluda alcune attese profonde degli uomini del nostro tempo ed offra ad essi il modello compiuto del discepolo del Signore: artefice della città terrena e temporale, ma pellegrino solerte verso quella celeste ed eterna; promotore della giustizia che libera l'oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma soprattutto testimone operoso dell'amore che edifica Cristo nei cuori».

L’ultima parte offre «Indicazioni circa i pii esercizi dell’Angelus e del Santo Rosario» ( iii ).

L’esortazione si chiude ricordando come la pietà verso la Vergine Maria sia un elemento intrinseco del culto cristiano. La devozione verso di lei è «un aiuto potente per l'uomo in cammino ... Ella, la Donna nuova, è accanto a Cristo, l'Uomo nuovo, nel cui mistero solamente trova vera luce il mistero dell'uomo...».

Non è difficile scorgere in queste espressioni un eco di Gaudium et Spes. E ancora questa costituzione evocano le espressioni che seguono: «All'uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra l'angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito da aspirazioni senza confini, turbato nell'animo e diviso nel cuore, con la mente sospesa dall'enigma della morte, oppresso dalla solitudine mentre tende alla comunione, preda della nausea e della noia, la Beata Vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già possiede nella Città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull'angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte».

Per quanto possa apparirci strano, la Marialis Cultus non fu accolta dalle donne nella sua valenza innovativa. D’altra parte l’Anno Internazionale della donna, pur celebrato nel 1975, aveva avuto sempre nel 1974 il prodromo dell’ammissione ai ministeri “ laicali” dei soli viri probati. Il 1976 avrebbe visto la pubblicazione della Inter Insigniores, il documento che, pur lasciando aperta la questione, invocava la tradizione perpetuo serbata per rifiutare alle donne l’ammissione al ministero ordinato.

Ancora una volta, dunque, l’enfasi su Maria, pur espressa nelle modalità consoni alla svolta conciliare, lasciava le donne ai margini della soggettualità ecclesiale, quasi che di donna ne bastasse una soltanto. La forza sovvertitrice del magnificat, pure riconosciuta ed enfatizzata, non bastava a mutare la loro collocazione ecclesiale.

di Cettina Militello
Teologa, vice-presidente della Fondazione Accademia Via Pulchritudinis ETS.