· Città del Vaticano ·

DONNE CHIESA MONDO

Un sondaggio tra diecimila donne di 37 Paesi diversi

Violenza, il grido
delle africane

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07 settembre 2024

Puoi nascere in Madagascar o in Kenya. In Nigeria o in Sudafrica. In Burundi o in Etiopia. Se sei donna i tuoi problemi saranno simili a quelle delle tue sorelle africane: avrai difficoltà a ricevere un’istruzione, rischierai di subire violenza già in famiglia e poi a scuola o al lavoro, dovrai lottare per avere la tua parte di eredità…

«In Africa, nella maggior parte dei Paesi persiste una cultura patriarcale e maschilista. Di conseguenza, quasi tutte le strutture sociali tendono a discriminare e a violare i diritti umani di donne e ragazze. È visibile a tutti i livelli, a casa, a scuola e persino al lavoro, e purtroppo le donne spesso si rassegnano. Questi problemi iniziano nell'infanzia e colpiscono a tutte le età e a tutti i livelli, sia la donna che rimane nel villaggio sia la donna in carriera»: sono le conclusioni a cui è giunto il sondaggio promosso dall'Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (UMOFC) attraverso il suo Osservatorio. Creato nel giugno 2021, con il motto «Ascoltare per trasformare le vite», l’Osservatorio mondiale delle donne, presieduto da Mónica Santamarina, è nato con l’obiettivo di dare visibilità alle «invisibili», per ispirare strategie pastorali da parte della Chiesa e sinergie da parte delle ong della società civile; promuovere politiche pubbliche da parte degli Stati; suggerire contributi all'agenda internazionale e risposte da parte di tutte le persone di buona volontà che possano favorire lo sviluppo umano integrale delle donne e quello delle loro famiglie, comunità e popoli.

Tra le varie iniziative attivate in questi anni c’è il progetto «Violenza e discriminazione contro le donne africane». Si è partiti dalla conoscenza della realtà, dall’ascolto delle donne, attraverso due canali: incontri di esperti e diffusione di un sondaggio intitolato «Un grido dal cuore delle donne». Durante cinque mesi, sono state ascoltate 10.790 donne africane provenienti da 37 Paesi diversi. Tra queste, 110 esperte (59 laiche e 51 religiose), che lavorano a contatto con le loro comunità e che hanno condiviso i loro studi sulla violenza e la discriminazione verso le donne nei loro Paesi. Le donne che hanno partecipato al sondaggio, 10.680, sono di diverso status sociale, livello di istruzione, etnia e religione. Dai loro racconti è emerso con chiarezza che la violenza assume molte forme: psicologica, verbale, fisica, sessuale, economica e, sempre più spesso, avviene anche online. La discriminazione si manifesta anche nell'istruzione, nella scelta del matrimonio, nella gravidanza, nella vedovanza, nel lavoro e nella potenziale crescita professionale. La povertà e la mancanza del minimo necessario per condurre una vita umana dignitosa aggravano questi problemi.

I risultati dell'indagine mostrano che il 54% delle donne dichiara di subire violenza di genere in famiglia, il 39% delle donne non la subisce, mentre il 7% preferisce non rispondere a questa domanda.

Tra i problemi comuni che oggi molti Paesi del continente africano si trovano ad affrontare, i principali sono i matrimoni forzati e precoci, la solitudine e l'abbandono, la violenza economica, la tratta di esseri umani, la violenza domestica e la mancanza di accesso a un'istruzione e a una formazione professionale di qualità. I risultati, inoltre, mostrano che le donne africane che hanno partecipato all'indagine con un basso livello di istruzione sperimentano un livello più elevato di violenza in termini generali, vale a dire indipendentemente dal tipo di violenza. Allo stesso tempo, in termini percentuali, le donne musulmane sono le principali vittime di violenza, più delle donne cristiane.

Le testimonianze raccolte esemplificano, attraverso la voce delle intervistate, la portata dei problemi. «La donna è proprietà dell'uomo. La moglie deve essere sottomessa»: è la massima keniota che getta una luce nefasta sul tema dei matrimoni: spesso precoci e forzati, hanno come conseguenza gravidanze precoci e la necessità per le madri di abbandonare gli studi. Un problema che riguarda il 17% delle 10.680 donne intervistate. «Molte ragazze rimangono incinte, soffrono molto e non hanno il diritto di parlare o di reagire» (Tanzania). Allo stesso modo, «i matrimoni forzati, i riti tradizionali costringono le donne ad avere rapporti sessuali con i loro mariti, anche quando la loro salute è compromessa» (Benin). In Ghana «i matrimoni infantili sono sempre più comuni perché le ragazze sono costrette a sposarsi, soprattutto con uomini che sono abbastanza vecchi da essere i loro nonni». Le esperte zambiane hanno raccontato che «nelle zone rurali la maggior parte delle ragazze non viene istruita, perché a 15 anni vengono esposte alla vita matrimoniale, e questo è il momento in cui soffrono di più e si sentono meno valorizzate». A causa della povertà, «alcuni genitori danno i loro figli in matrimonio precoce pensando che questo salverà il patrimonio familiare», come nel caso della Repubblica Centrafricana. «Dare la propria figlia in sposa per pagare un debito» è considerato una prassi normale, ad esempio in Guinea Bissau. Le istituzioni pubbliche sono state spesso identificate dalle intervistate come luoghi di violenza, «soprattutto per omissione e mancanza di servizi, con conseguente impunità che non genera fiducia nella denuncia», dicono le esperte della Guinea Bissau. In Zimbabwe, «la corruzione ostacola l'accesso delle donne alla giustizia e i casi di abuso vengono nascosti sotto il tappeto, lasciando alle donne poche speranze di denunciare». «Stupri e abusi contro le studentesse sono ancora costanti e gravi nel sistema educativo senegalese».

Le donne sono considerate cittadini di seconda classe. In Camerun, «le donne non partecipano alle decisioni familiari, né hanno il diritto di ereditare». Un aspetto della solitudine e dell'abbandono vissuti da molte donne è proprio la questione dell'eredità. Il 10% delle intervistate ha dichiarato di aver subito vari riti di vedovanza come segno di violenza culturale.

In Zambia «quando l'uomo muore, tutte le proprietà passano ai parenti dell'uomo e la donna torna al suo villaggio con i figli». Nella Repubblica Democratica del Congo, «le donne non possono ereditare nemmeno quando muore il marito». In Madagascar «le donne non hanno diritto all'eredità». In Kenia «le donne non possiedono nulla in casa, tutto è registrato a nome dell'uomo. In caso di separazione o divorzio, le donne iniziano a vivere come se non avessero mai avuto nulla e si trovano di nuovo di fronte alla famiglia che tende a rimandarle dal marito pensando che la colpa sia loro».

Gli esperti del Lesotho affermano poi che «i problemi affrontati dalle giovani donne a causa degli alti tassi di disoccupazione giovanile sono quelli che le hanno portate a praticare il sesso commerciale come mezzo di sopravvivenza, con gravi conseguenze, come gravidanze indesiderate, rifiuto da parte degli autori, delle famiglie e della società in generale, con conseguenti aborti clandestini o abbandono dei bambini, alti tassi di abbandono a diversi livelli di apprendimento tra le ragazze adolescenti e alti tassi di malattie sessualmente trasmissibili, compresa l'infezione da hiv ». Anche in altri Paesi, come lo Zambia, «le ragazze cadono nella trappola, lasciano la casa per cercare conforto altrove e, in cambio, non sanno di essere trafficate».

Dati che chiedono di rimboccarsi le maniche e intervenire. L’obiettivo del progetto, dicono all’ UMOFC , è dare visibilità al problema, per poi combattere la violenza di genere attraverso la messa in rete di congregazioni e organizzazioni nella società. Attraverso webinar e workshop, inoltre, si punta a formare le donne come corresponsabili nella prevenzione e nella cura delle vittime e nella sensibilizzazione alla violenza di genere e alla discriminazione. L’idea è promuovere legami sostenibili tra istituzioni laiche e congregazioni religiose, per aggiornare costantemente le campagne sociali, la promozione di progetti e le diverse azioni di advocacy necessarie per prevenire la violenza e la discriminazione contro le donne. Durante la campagna sono arrivate diverse raccomandazioni dalle stesse donne africane intervistate: l'importanza della prevenzione e della continua sensibilizzazione; la forza del lavoro di rete; la necessità di cambiare alcune leggi; il valore dell'empowerment delle donne per la loro maggiore autonomia; la chiave di un maggiore accesso all'istruzione e la portata delle politiche pubbliche che favoriscono le donne. Il 33% delle 10.680 donne intervistate afferma che l'istruzione e la formazione professionale sono il cambiamento più importante che desidera per il pieno sviluppo delle donne nel proprio Paese.

di Vittoria Prisciandaro
Giornalista «Credere» e «Jesus» Periodici San Paolo


Come avvicinarsi alle vittime


«Un grande problema nella lotta contro violenza e la discriminazione sulle donne è il silenzio delle vittime». Questa è una delle affermazioni più frequenti delle esperte. Attraverso l'Osservatorio Mondiale delle Donne (WWO) dell'Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche (UMOFC) ci siamo impegnati ad «Ascoltare per trasformare le vite». Il primo obiettivo, raggiunto, era quello di ricevere le risposte al sondaggio «Il grido delle donne africane», attraverso il quale abbiamo ascoltato 10.790 donne di 37 Paesi africani.

Come  siamo riusciti a far sì che le donne, abituate al silenzio di fronte alle ingiustizie, parlassero di questioni così intime come la violenza di genere  o pratiche come la mutilazione genitale femminile? Nell’ umofc  abbiamo migliaia di donne membri di organizzazioni femminili cattoliche di 50 Paesi che, a partire dalla loro parrocchia o comunità, accompagnano la vita delle loro vicine, con mutua fiducia e amicizia. La sfida è stata, quindi, quella di formare le donne africane della rete umofc  come corrispondenti sociali, in grado di ascoltare le esperienze di altre donne e di trasformarle in risultati quantitativi e qualitativi che potessero essere analizzati nel quadro di una ricerca. In questa indagine si approfondiscono le esperienze delle donne in relazione a diversi tipi di violenza, il modo in cui essa influisce sullo sviluppo della loro vita e come la resilienza e la solidarietà vanno rendendo possibili migliaia di storie di trasformazione personale e comunitaria.

Nel maggio 2022, 40 donne leader di organizzazioni cattoliche di 16 Paesi africani hanno partecipato a un workshop a Nairobi per formarsi come corrispondenti sociali. Hanno riflettuto sull' "arte dell'ascolto", ispirandosi al dialogo di Gesù con la Samaritana e con i discepoli sulla strada di Emmaus. Una metodologia semplice ma efficace: avvicinarsi alle persone con empatia e offrendo all'altra persona la sicurezza che tutto ciò di cui parlerà sarà confidenziale.

Da lì, siamo state in grado di creare una grande rete capace di arrivare fino al villaggio più piccolo. Alcune donne ne hanno formato altre come corrispondenti sociali e insieme siamo riuscite a intervistare più di 10.000 donne. Abbiamo così potuto raggiungere l'obiettivo che avevamo sperato. Ora, continuiamo a camminare insieme, rafforzando una potente rete di congregazioni religiose e organizzazioni femminili cattoliche laiche che lavorano insieme nella speranza. 

di Adela González
World Women's Observatory UMOFC