· Città del Vaticano ·

Un continente strozzato

Arabang Polanka (59), a subsistence farmer, waters his vegetable garden at his home in Lipelaneng, ...
03 settembre 2024

Il problema numero uno dei Paesi del cosiddetto Sud del mondo è il debito. Emblematica è la situazione delle economie africane. Queste ultime — è bene rammentarlo — attraversarono una devastante crisi debitoria dagli anni Ottanta del secolo scorso fino a quando, all’inizio di questo, grazie al progetto Highly Indebted Poor Countries, ad opera del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, una trentina di Paesi a basso reddito della fascia subsahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro: la Multilateral Debt Relief Initiative. Queste iniziative consentirono a molti governi africani di accedere a prestiti insperati. Purtroppo, si verificò ben presto la tendenza di sostituire il debito multilaterale a basso costo e lungo termine con un debito verso creditori privati — assicurazioni, banche, fondi di investimento, fondi di private equity — molto più oneroso e a breve termine.

Ecco che allora il debito è stato letteralmente finanziarizzato con il risultato che il pagamento degli interessi è stato inscindibilmente legato alle attività speculative sui mercati internazionali. Questo ha comportato costi di servizio del debito e rischi di rifinanziamento più elevati con il risultato che la cifra assoluta del debito africano ha raggiunto i 1140 miliardi di dollari. Si tratta di un valore assoluto certamente inferiore a quello delle economie avanzate. È però una cifra debitoria elevata se raffrontata al valore complessivo del pil africano che è di circa 3 trilioni di dollari. Per avere un confronto, basti pensare che quello dell’Unione Europea (UE) è di 16 trilioni e mezzo.

È evidente che di fronte a questo scenario occorre mantenere l’attenzione internazionale sulla necessità di trovare una soluzione al problema del debito africano, vista la fragilità in cui versano varie economie nazionali nel contesto odierno. Infatti, l’impennata dei tassi d’interesse a livello globale rende sempre più difficile la ricerca di fonti di finanziamento alternative per molti paesi africani che stanno testando i limiti della capacità dei propri mercati nazionali per ovviare alla mancanza di fondi internazionali.

Qui le responsabilità ricadono sia sulle classi dirigenti locali, ma anche sulle stesse istituzioni finanziarie internazionali, le quali pretendono che le concessioni per lo sfruttamento delle materie prime, unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l’accaparramento dei terreni da parte delle aziende straniere) vengano attuate «senza se e senza ma», per arginare il debito.

Si tratta di un affare colossale essendo, in genere, le monete locali fortemente deprezzate. La posta in gioco è alta e l’unica soluzione è quella indicata da Papa Francesco nel discorso ai partecipanti all’incontro di studio promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze il 5 giugno scorso. Il tema del debito estero «investe i principi etici fondamentali e deve trovare spazio nel diritto internazionale». Altrimenti è questione di usura.

di Giulio Albanese