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La buona Notizia Il Vangelo della xxiii domenica del tempo ordinario (Mc 7, 31-37)

Chi è sordo? Chi è muto?

 Chi è sordo? Chi è muto?  QUO-198
03 settembre 2024

I vangeli contengono un fraintendimento. Peggio ancora, lo amplificano. Dopo ogni guarigione, Gesù esige che nessuno ne parli. Chiede il segreto al convalescente, ai suoi parenti, e a tutti i testimoni. Insiste anche con i propri discepoli. Fatica sprecata! Più invoca il silenzio, più la notizia si diffonde. E i vangeli, pur riportando fedelmente questo desiderio di discrezione, lo tradiscono subito pubblicando il racconto del miracolo.

Nessuno ascolta Gesù. Sono tutti sordi.

Ecco che cosa racconta Marco in 7, 31—37, con un’ingenuità sottilmente ironica.

Gesù viaggia. Lascia per diverse settimane la Galilea per la Decàpoli, una regione in cui prosperano dieci città di cultura greca. Là gli portano un uomo sordo che, di conseguenza, ha difficoltà a parlare. Strappandolo alla folla, Gesù lo prende in disparte per avere un contatto intimo, da uomo a uomo, con lui. Utilizza allora un linguaggio corporeo, non potendo usare le parole, e compie i gesti di un guaritore toccandogli le orecchie e la lingua. Ma, diversamente dagli altri guaritori, geme per attirare l’attenzione di Dio.

Levando gli occhi al cielo, implora l’aiuto divino, il che significa che non può guarire senza la collaborazione di Dio.

E non può guarire neppure senza quella del malato. “Effatà”, gli ordina, che significa “Apriti” in aramaico.

L’uomo sordo sente, poi si mette a parlare correttamente. Alle persone presenti Gesù ordina il silenzio. Purtroppo, «più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”». In quel momento, senza rendersene conto, i pagani usano il linguaggio delle Scritture ebraiche; citano la Genesin (1, 31) all’inizio della frase e il profeta Isaia (35, 5-6) alla fine, insomma sono permeati dai testi ebraici.

Apprezzo le astuzie sottili dello scrittore Marco, il quale, con questo gioco metatestuale, ci indica che la fede in Gesù è universale, destinata a tutti, pagani compresi. Ammiro anche il suo senso della parabola, senza dubbio ereditato da Gesù stesso. Non nomina solo l’udito, ma anche l’ascolto. Non evoca solo l’articolazione, ma anche la parola. Non descrive solo una guarigione, ma anche una trasformazione.

Perché esistono diversi livelli di sordità. Il sordomuto fisico è afflitto dal malessere di essere isolato, tagliato fuori sia dal senso sia dalla comunità umana, senza averlo voluto né concepito: dobbiamo recuperarlo e reintegrarlo. Ma persino l’orecchio più fine è sempre un po’ sordo. A che cosa? Al messaggio. Persino la parola più articolata è inadeguata. A che cosa? Al messaggio. Gesù parla e nessuno lo ascolta, né riporta correttamente ciò che dice, discepoli compresi. Con l’indebolimento della nostra capacità di ascoltare Dio perdiamo anche la nostra capacità di dialogare con Lui o di trasmettere i suoi valori. La nostra vita si richiude.

“Effatà!”. Come Gesù apre le orecchie del sordo, così Cristo viene ad aprire le nostre orecchie allo Spirito Santo affinché comprendiamo la sua Parola. E come scioglie la lingua al muto, così ci dà la forza di proclamare la nostra fede.

Oggi, in ogni battesimo, il sacerdote sussurra “Effatà”, toccando le orecchie e la bocca del neonato. “Apriti”. Se il bambino non lo capisce in quel momento, che l’adulto lo comprenda in seguito! Perché allora dipenderà da lui…. (éric-emmanuel schmitt)

di Éric-Emmanuel Schmitt