Verso il Giubileo
Nel medioevo esistevano delle guide a supporto dei pellegrini che in questo modo sapevano cosa avrebbero visto, cosa conveniva visitare e come poter ottenere le indulgenze nelle varie chiese. Entrare a Roma era sempre un’esperienza emozionante, che li poneva di fronte alla sacralità dei luoghi santi e delle loro reliquie, ma anche allo sgomento di trovarsi a toccare un passato monumentale, misterioso e spesso incomprensibile
I pellegrini che venivano a Roma da nord, percorrendo la via Francigena, si trovavano all’improvviso a guardare dall’alto la distesa della città, da Monte Mario, il cui toponimo medioevale è fatto derivare da Mons Gaudii, monte della gioia, a ricordo del cuore che balzava loro nel petto e il respiro che si mozzava per l’emozione. Erano arrivati, potevano scorgere più vicina di tutte la basilica di San Pietro, il nastro sinuoso del Tevere e i tetti e le cupole di altri luoghi santi che li attendevano.
Non erano viaggiatori sprovveduti, erano quasi sempre muniti di solide guide “turistiche” che avrebbero guidato i loro passi. La letteratura di viaggio non è un genere nuovo. Per parlare solo del periodo tardo antico, esistevano già, fin dal iv secolo, degli itinerari con descrizioni meno accurate dei singoli luoghi e finalizzati piuttosto a segnare le tappe di viaggio lungo le strade. Tra questi il cosiddetto Itinerarium Burdigalense o Itinerarium Hierosolymitanum, il più antico itinerario cristiano, scritto nel 333-334 da un anonimo durante il suo viaggio da Burdigala, l’attuale Bordeaux, fino a Gerusalemme, tappa di arrivo per venerare il Santo Sepolcro. Roma appare ancora tra i tanti luoghi, tappa di un cammino che non la vedeva protagonista e che privilegiava la Terra Santa. Con la caduta di Gerusalemme nel 1187 e infine con l’assedio di San Giovanni d’Acri, che segnò la fine delle crociate, nel 1291, Roma divenne progressivamente il principale polo d’attrazione, poi esaltato dall’istituzione dell’Anno Santo.
Il numero infinito di chiese romane
L’itinerario dell’abate Nikulas Munkathvera, tra il 1151 e il 1154, è uno dei più celebri e antichi. Anche lui scende a Roma da Monte Mario ed enumera i luoghi più importanti, le cinque sedi vescovili: una è presso la Chiesa di San Giovanni Battista dove si trova il seggio papale, la seconda presso la chiesa di Santa Maria, dove il Papa celebra le messe di Natale e di Pasqua; a occidente la chiesa di San Paolo dov’è il luogo detto Catacumbas; poi c’è il mercato di San Pietro Apostolo, «assai vasto e lungo», e quindi la venerata chiesa di San Pietro, grandissima e famosa: «Qui è la completa liberazione delle pene per gli uomini di tutto il mondo…» e continua ricordando “il sarcofago” dell’Apostolo sotto l’altare. Afferma che qui fu anche incarcerato e qui si trova la croce del suo martirio. Aggiunge che nell’altare sarebbe conservata la metà delle ossa di Pietro e Paolo, mentre l’altra metà si troverebbe nella chiesa di Paolo. Oltre a queste, Nikulas cita Sant’Agnese, il Pantheon e altri luoghi di culto e conclude: «Nessuno è tanto erudito da conoscere con sicurezza tutte le chiese di Roma».
Mirabilia
A partire dal xii secolo, appaiono delle vere e proprie descrizioni di Roma, i Mirabilia Urbis Romae, “Le meraviglie di Roma”. Talvolta si parla di luoghi che non sono compresi e che si finisce per descrivere in modo ingenuo, corrotti via via da leggende e fantasie improbabili. Al fondo, resta agli occhi dei pellegrini l’aspetto più affascinante e misterioso di questa città così complessa: la contrapposizione tra la città pagana e quella cristiana. Un passato che ha lasciato tracce monumentali, la cui funzione originaria non capiscono, le cui tecniche costruttive, a grandi blocchi squadrati in travertino e marmo, destano stupore, i decori intagliati affascinano e le statue vengono interpretate attingendo a un mondo fantastico e molto spesso demoniaco.
La redazione più antica dei Mirabilia è attribuita a un canonico di San Pietro, Benedetto, tra il 1140 e il 1143, poi inserito nel Liber Pontificalis. Quest’opera non nasce ad uso di guida, ma dall’esigenza di censire il patrimonio edilizio dell’Urbe per gli inventari papali e preservarlo dai saccheggi. Infatti in questi primi libretti non vi sono solo le mete dei pellegrini ma in generale i punti di interesse: dalle mura di Roma e le torri alle fortificazioni e le porte; gli archi di trionfo, i colli, le terme, gli edifici antichi, quelli di spettacolo, i luoghi legati al martirio dei santi; quindi ponti, cimiteri e infine i racconti storici e un itinerario dal Vaticano a Trastevere.
L’itinerario urbano
Dal Vaticano si passava per Castel Sant’Angelo, si giungeva al Campo Marzio per salire al Campidoglio, si scendeva di nuovo ai Fori Imperiali passando sotto l’Arco di Tito. Sul Palatino ecco la grande mole del Colosseo, quindi il Circo Massimo, il Celio e il Laterano. Da qui ancora l’Esquilino, il Viminale, il Quirinale, chiudendo il cerchio per tornare di nuovo al Circo Massimo e a Castel Sant’Angelo. Giunti a Trastevere, si visitava l’isola Tiberina.
Le ceneri di Giulio Cesare
Oltre alle più celebri reliquie delle basiliche, vi era altro ad attirare i pellegrini. Alcuni luoghi custodivano, e in molti casi custodiscono ancora, testimonianze del passaggio degli apostoli e dei santi e martiri. Oltre ai cristiani ve ne erano dove si favoleggiavano storie antiche di personaggi anche illustri. È il caso di una guglia in Piazza San Pietro, su cui vi era un pomo dorato contenente le ceneri di Giulio Cesare. La ragione è sempre l’antitesi Roma pagana — Roma cristiana con esiti anche morali, infatti quell’antica sfera dorata rappresentava una gloria effimera ormai tramontata, che non esisteva più. In quello stesso luogo invece ora rifulgeva la gloria perenne di un martire, di un ultimo che Dio aveva scelto a fondamento della sua Chiesa. Si riteneva che la Meta de Sancto Petro fosse in origine il luogo de lo sepolcro de Romolo. E in questo gioco di sovrapposizioni simboliche vale la pena ricordare anche un luogo non romano, Costantinopoli, dove si pensava che nel globo retto dalla mano destra della statua di Costantino vi fossero state poste le reliquie della croce di Cristo.
La pigna dorata dei Musei Vaticani
La grande pigna in bronzo che oggi si trova nel cortile omonimo dei Musei Vaticani in origine era parte di una fontana nelle terme di Agrippa, in Campo Marzio. Tra le varie versioni della leggenda medievale si dice che fungesse da "tappo" dell’oculus (occhio) del Pantheon, e che quando il tempio pagano fu trasformato in Chiesa, un diavolo che si annidava all’interno volò via portandosi via la pigna, che depose nel cortile di San Pietro, lasciando aperto il foro al centro della cupola. Un altro racconto invece dice che la pigna conteneva le ceneri dell’imperatore Adriano e si trovava in cima al suo mausoleo, ovvero Castel Sant’Angelo.
Monte cavallo
Il gruppo scultoreo dei due Dioscuri, Castore e Polluce, nell’atto di trattenere per le briglie i loro cavalli, è collocato fin dall’antichità sul colle del Quirinale che nel medioevo, proprio per questo motivo, si chiamava Monte cavallo. Si suppone che l’ubicazione originaria fosse nelle vicine terme di Costantino. Destavano interesse e davano sfogo a diverse interpretazioni i nomi incisi sulle basi, Opus Phidiae e Opus Praxitelis, opera di Fidia e di Prassitele. Nel medioevo, proprio i Mirabilia riferivano che si trattava di due filosofi, portatori della «nuda» verità, «et sì como erano nudi, così tutta la scientia de lo munno era aperta et nuda ad la mente loro», altre versioni li ritengono indovini. Fu Petrarca, a Roma diverse volte, a riconoscerli quali opere dei due celebri scultori greci, riferendosi alla Naturalis Historia di Plinio.
La basilica di Ara Coeli e il presagio di una promessa
Svetta in cima a una ripida scalinata, stretta tra piazza del Campidoglio e l’Altare della Patria. È il punto più alto del colle capitolino, un luogo particolarmente sacro della Roma antica. Il suo nome, che perdura nei nostri giorni con il toponimo latino, significa "altare del cielo". Era l’arx, l’arce, luogo probabilmente dell’auguraculum, il recinto augurale, il punto più favorevole dove prendere auspici osservando il volo degli uccelli. Sotto al tempietto circolare di Sant’Elena si trova un altare cosmatesco del xii secolo, dove ai lati dell’arco di una finta porta con l’agnello ci sono i rilievi di Augusto e la Vergine con il Bambino, riferita rievocando una leggenda che mescola ancora mondo pagano e mondo cristiano come a voler trovare radici della nuova religione in un tempo ancora incosciente. Qui, sempre secondo i Mirabilia, l’imperatore Augusto avrebbe avuto una visione: nel cielo, una donna seduta su un altare con un bambino in grembo. E una sibilla gli avrebbe detto: Haec est ara filii Dei! - «Ecco l’altare del figlio di Dio!»
Il Colosseo e l’istituzione giubilare della Via Crucis
Questo grande edificio di certo sgomentava e stupiva i pellegrini, con il suo volume enorme e pesante. Non ne capivano la funzione, tanto che si facevano ipotesi che si fosse trattato di un tempio. L’autore trecentesco del Libro imperiale si sofferma a descriverlo. Un edificio «di somma grandeza et alteza», grandi colonne, sette mura e un numero infinito di porte. Al centro, in quella che è l’arena, c’era una colonna spropositata su cui si ergeva la statua dorata di Giove. La si vedeva da lontano e tutti, vedendola, si genuflettevano. La sua vera funzione originaria di edificio di spettacolo e quindi di luogo di martirio fu compresa solo più tardi e fiorì nel 1750, quando Benedetto xiv , il 27 dicembre 1750, a ricordo di quell’Anno Santo, istituì la Via Crucis al Colosseo.
Un itinerario sempre più ricco
Con l’istituzione del Giubileo, specie a partire dalla seconda metà del xiv secolo, gli elenchi delle indulgenze cominciarono a includere nuove chiese. Dopo San Pietro e San Paolo nel 1300, furono incluse San Giovanni nel 1350 e Santa Maria Maggiore nel 1390. In una serie di bolle emanate nel marzo del 1400, la visita necessaria per acquistare l’indulgenza venne estesa alle basiliche di San Lorenzo fuori le mura, Santa Maria in Trastevere e Santa Maria della Rotonda, ovvero il Pantheon.
Grande diffusione
Con l’avvento della stampa, si moltiplicano le opere e la loro diffusione, incunaboli, indulgenze e diari di viaggio. Le descrizioni dei monumenti si trasformano in vere e proprie guide, specialmente alla fine del xv secolo, in occasione del Giubileo del 1475. Appaiono le Indulgenitiae ecclesiarum urbis Romae che non si attardano sulla storia di Roma, ma si concentrano nella descrizione delle sette chiese principali e delle loro reliquie con le indulgenze che in ognuna si potevano guadagnare.
Tali opere si arricchiscono di illustrazioni, all’inizio limitate alle immagini dei santi titolari delle varie chiese, poi si allargano a mostrare vedute e scorci della città, come celebri le opere di Giuseppe Vasi, vedutista del Settecento, autore della serie Magnificenze di Roma antica e moderna.
Le sette chiese
Un itinerario squisitamente di fede era il giro alle sette chiese, in uso fin dal vii secolo, un percorso di circa 20 km che si svolgeva in due giorni e che divenne peculiare del periodo pasquale. Toccava le basiliche maggiori più tre minori: San Pietro, San Paolo, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo, San Sebastiano. Lungo il percorso, si incontravano molti luoghi dell’antica memoria cristiana e in particolare le catacombe di Commodilla, di Domitilla e di San Callisto.
San Filippo Neri nel 1552 rinnovò questo antico pellegrinaggio, che si sviluppò in modo spontaneo, prima con pochi amici e i ragazzi dell’oratorio, poi con una vera folla di persone. Si partiva dalla chiesa di San Girolamo per giungere a San Pietro a passare la notte. Il giorno dopo si faceva tappa a San Paolo fuori le Mura per proseguire a San Giovanni in Laterano, alla basilica di San Lorenzo, a Santa Maria Maggiore, alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme e infine alla basilica di San Sebastiano dove, nelle catacombe, nel giorno di Pentecoste del 1544, il suo cuore fu colpito da «un’effusione dello Spirito Santo» come san Filippo stesso raccontava. Il numero sette ricorre non solo per le chiese da visitare, ma finisce per rivestire di significato spirituale ogni momento e ogni luogo di questo pellegrinaggio: sono recitati i sette salmi penitenziali per invocare il perdono dei sette peccati capitali e chiedere le sette virtù, meditando le sette principali tappe di Gesù durante la Passione, le sette effusioni del sangue di Cristo, le sette parole di Cristo in croce, i sette doni dello Spirito Santo, i sette sacramenti, le sette opere di misericordia. La pratica riscosse in poco tempo un ampio consenso e un afflusso di pellegrini che dura tuttora.
di Maria Milvia Morciano