Ci sono due grandi artiste, vissute a 500 anni di distanza, che hanno ridefinito il modo di rappresentare la donna, affrontando nelle loro opere temi come la sopraffazione, l’abuso e la repressione, ed esaltando l’universo femminile nei suoi aspetti di forza, riscatto e resilienza.
Sono Artemisia Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1653), tra le prime donne a ottenere fama internazionale come pittrice, e Judy Chicago (Judith Cohen, nata a Chicago nel 1939), artista americana femminista contemporanea.
Artemisia Gentileschi rappresenta sicuramente un caso emblematico, anche per la sua storia personale. Figlia dell’artista Orazio Gentileschi, la giovane pittrice venne violentata dall’amico e collega del padre Agostino Tassi nel 1611. L’anno dopo ebbe inizio il processo contro il suo aguzzino, circostanza che determinò ulteriori umiliazioni per l’artista. Risale a questo periodo una delle sue opere più celebri, Giuditta che decapita Oloferne, oggi conservata al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, a cui seguì nel 1920 una seconda versione che si può ammirare alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
L’episodio al quale si riferisce la tela è narrato nel Libro di Giuditta: l’eroina biblica, assieme ad una sua ancella, si recò nel campo nemico; qui circuì e poi decapitò Oloferne, il feroce generale assiro. L’artista rappresenta la scena con grande sapienza, descrivendo il momento più cruento della vicenda, ovvero la decapitazione, enfatizzato anche dall’uso teatrale della luce che accentua il contrasto tra la brutalità dell’azione e la determinazione delle due donne.
Non è difficile immaginare che l’opera possa riflettere elementi autobiografici, un’ipotesi che diventa ancora più plausibile se si considerano i personaggi rappresentati nel quadro che sono Oloferne sopraffatto dalle due donne, Giuditta e la sua ancella. Questo dipinto mette infatti in luce un altro tema importante: la complicità e la solidarietà femminile, una realtà che Artemisia non sperimentò, tradita dall’amica Tuzia che la abbandonò durante il momento della violenza.
La “grande pittrice della guerra tra i sessi” (così definita dalla leader del femminismo internazionale Germaine Greer) è riuscita con questa straordinaria opera a catturare il coraggio e il dolore di una donna, diventando il paradigma dell’indomita volontà di resistere e di combattere per una vita libera dalla violenza e dalla sottomissione.
Anche Judy Chicago, con tutt’altra narrazione e stile, a secoli di distanza da Artemisia è riuscita a sfidare le convenzioni artistiche e sociali celebrando il contributo di importanti figure femminili e dando vita a una riflessione critica sulla condizione femminile nel corso della storia. Un’opera particolarmente significativa in questo senso è The Dinner Party. Realizzata negli anni Settanta del Novecento e oggi conservata al Brooklyn Museum di New York, questa installazione non si basa su alcun passo specifico delle Sacre Scritture, altresì riflette e commenta le esperienze femminili attraverso i secoli, comprese le sofferenze legate alla violenza e all’oppressione. The Dinner Party si compone di una lunga tavola triangolare apparecchiata con 39 posti, ciascuno dei quali è dedicato a una figura femminile di rilevanza storica o mitologica. Ogni posto è adornato con una ceramica che presenta espliciti riferimenti sessuali e una tovaglia ricamata, volte a celebrare la vita e il contributo di queste donne.
Tra le figure rappresentate si trovano, oltre alle stesse Giuditta e Artemisia Gentileschi, santa Brigida, Eleonora d’Aquitania, Isabella d’Este, Virginia Woolf e Georgia O’Keeffe, una gamma che va dalla tradizione giudaica fino alla rivoluzione femminista.
Quest’opera, sebbene non contenga elementi cruenti, veicola concettualmente un messaggio potente e chiaro: ogni donna rappresentata è il paradigma della resilienza e della forza di fronte alla violenza. In questo modo, l’installazione di Judy Chicago può essere interpretata come una riflessione profonda sulla condizione femminile e sulle ingiustizie subite dalle donne, creando un legame simbolico con le narrazioni bibliche che trattano storie di donne vittime di oppressione. The Dinner Party celebra dunque la determinazione e la resistenza delle donne attraverso i secoli, offrendo un tributo alla loro indomita volontà di combattere per la dignità e la parità.
Le opere di Artemisia Gentileschi e Judy Chicago, sebbene nate in contesti storici e culturali distinti, offrono una riflessione complessa e penetrante sulla condizione femminile, radicata sia nelle esperienze storiche che nelle narrazioni bibliche. Artemisia Gentileschi, attraverso il suo potente ritratto di Giuditta che decapita Oloferne, non solo esprime il dolore e la resilienza personale in risposta alla violenza subita, ma riflette anche la forza e il coraggio delle donne che hanno combattuto contro l’oppressione nei testi sacri e nella storia. Il suo lavoro è diventato così simbolo di resistenza e determinazione, trasmettendo un messaggio universale di liberazione e giustizia.
L’opera di Judy Chicago amplifica questa riflessione includendo una vasta gamma di figure femminili che hanno contribuito alla storia e alla cultura, riscattando l’immagine femminile dagli stereotipi che l’hanno descritta per secoli come debole e remissiva.
L’installazione celebra non solo la resilienza e la forza delle donne attraverso il passaggio di epoche diverse, ma crea anche un legame simbolico con le narrazioni bibliche, offrendo una visione globale e inclusiva del contributo femminile. La tavola triangolare di Chicago diventa un luogo di commemorazione e di riconoscimento per le donne che hanno lottato e superato le ingiustizie, sottolineando il loro ruolo cruciale nella formazione della società.
Mentre Artemisia Gentileschi ha affrontato direttamente il tema della violenza con una narrazione personale e storica, Judy Chicago ci ha restituito una celebrazione collettiva delle esperienze femminili, invitando a una riflessione continua sulla condizione delle donne.
Queste opere, pur differendo nel loro approccio e nel loro contesto, convergono nel loro intento di esaminare e sfidare le strutture di potere e oppressione, celebrando le donne non come vittime, ma come protagoniste di una resistenza storica e culturale.
di Giorgia Calò
Storica e critica d’arte, Direttore del Centro di Cultura Ebraica della Comunità Ebraica di Roma