· Città del Vaticano ·

La testimonianza di don Augustyn Babiak, sacerdote greco-cattolico

L’eredità di Szeptyckyj

 L’eredità di Szeptyckyj  QUO-251
06 novembre 2024

Il 1° novembre ricorreva l’80° anniversario della morte del venerabile servo di Dio, Andrea Szeptyckyj che ha guidato la Chiesa greco-cattolica ucraina dal 1900 fino alla sua morte nel 1944. In quel periodo, «la Provvidenza divina ha dato alla Chiesa greco-cattolica ucraina un grande pastore», spiega ai media vaticani don Augustyn Babiak, sacerdote greco-cattolico e autore del libro Per amore del suo popolo. La vita eroica del metropolita Andrea Szeptyckyj. Nel lasso di tempo in cui il metropolita è stato alla guida della Chiesa, gli ucraini hanno vissuto 2 guerre mondiali e 7 cambi di governo. Le drammatiche vicende che travagliano l’Ucraina di oggi spingono ad avvicinarsi all’eredità spirituale di questa figura, che lo storico Jaroslav Pelikan ha definito «la più rilevante [...] nell’intera storia della Chiesa ucraina del xx secolo».

Roman — questo il nome di battesimo di Szeptyckyj — nacque il 26 luglio 1865 a Prylbyci. Nel 1888 entrò nell’ordine Basiliano e nel 1892 venne ordinato sacerdote. A soli 34 anni, fu nominato vescovo di Stanislaviv (oggi Ivano-Frankivsk) e dopo un anno venne trasferito a Leopoli, da cui dipendevano tutte le diocesi della Chiesa greco-cattolica ucraina. «Da subito affrontò con serietà i doveri che derivavano dal suo impegno pastorale. Il giovane vescovo — racconta don Babiak — si definiva “un pastore umile innamorato del proprio popolo”, un popolo che sembrava un po’ abbandonato, trascurato, a causa dalle circostanze politiche, economiche e sociali. Come vescovo desiderava trasmettere lo spirito cristiano, la fede, un’attiva speranza cristiana».

Essendo una persona colta, sapeva che per realizzare il suo progetto, doveva iniziare dall’educazione. «Mandava i seminaristi a studiare all’estero. Inoltre, cercava di dare nuovo slancio alla vita monastica fondando la congregazione “Studion”, e facendo arrivare dal Belgio i redentoristi, che hanno adottato il rito orientale. Szeptyckyj si impegnava per far studiare i laici contribuendo a formare un’élite capace di servire il popolo ucraino facendolo uscire dalla povertà, così che potesse riacquistare fiducia e riscoprire la propria identità e appartenenza europea». Szeptyckyj prese parte alla vita pubblica della Galizia, però non era un politico, ed esortava il suo clero a non impegnarsi in politica. «Era un buon pastore — ricorda don Babiak — che cercava l’equilibrio tra la dimensione spirituale e quella sociale». Scopo della sua azione è stata quella di aiutare il popolo a «uscire dalla miseria e a condurre una vita buona e sana. Ha sempre cercato di aiutare questo popolo a raggiungere il benessere, ma per questo ci volevano mezzi e istruzione. Si batteva perché gli ucraini avessero il diritto di mandare i figli a scuola e all’università dove avrebbero potuto imparare la lingua, la storia, la propria identità. Per il metropolita l’istruzione era la chiave per non diventare facile preda delle correnti dell’epoca (marxismo e leninismo)». Si prendeva cura non solo dei fedeli della sua Chiesa, ma svolgeva un ruolo importante come voce di tutti gli ucraini, anche di quelli che si trovavano nei territori occupati dal governo sovietico. «Il momento più doloroso è stato l’Holodomor del 1932-33 — dice — quando 8 milioni di ucraini morirono di fame. Un vero e proprio genocidio di cui l’Europa non era a conoscenza, perché la Russia sovietica bloccava le informazioni. Con il supporto della Santa Sede Szeptyckyj cercava di spedire pacchi con cibo e organizzare convogli umanitari».

Altro esempio lampante dell’umanità del metropolita sono i suoi sforzi per salvare gli ebrei durante la persecuzione nella Seconda guerra mondiale. «Leopoli ha subito un vero pogrom di ebrei. Chi cercava di difenderli rischiava molto. Szeptyckyj non aveva paura. Insieme a suo fratello Klymentij (proclamato beato nel 2001) avevano organizzato una rete di salvataggio degli ebrei. Dal 1939 al 1944, il metropolita ha organizzato 4 sinodi radunando attorno a sé i sacerdoti per incoraggiarli a continuare la loro attività pastorale per il popolo sofferente. Il tema principale — conclude don Babiak — erano sempre i dieci comandamenti, con lo scopo di sensibilizzare la popolazione a non dimenticare le leggi morali anche in tempo di guerra. Sebbene fosse già molto malato, è riuscito a trasmettere questo messaggio. Oggi, siamo testimoni di ciò che succede in Ucraina: è un vero disastro. L’uomo non riconosce più l’uomo, la vita non vale quasi più niente. Qui la Chiesa può giocare un ruolo molto importante usando gli strumenti della spiritualità per sensibilizzare la gente, facendosi portatrice del messaggio che malgrado questa situazione eccezionale e dolorosa, possiamo rimanere persone umane mantenendo la nostra dignità».

di Svitlana Dukhovych