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I risultati della Cop29: sui finanziamenti le richieste erano altre ma ci sono anche segnali positivi

Non molto
Ma neanche poco

 Non molto  Ma neanche poco  QUO-267
25 novembre 2024

Un risultato debole. È questo il giudizio pressoché unanime sull’accordo di Baku.

Dall’11 al 24 novembre i Paesi Onu si sono riuniti in Azerbaijan per affrontare uno dei temi più spinosi della lotta al cambiamento climatico. Già, perché quando si parla di “finanza per il clima”, si entra sempre in una specie di girone infernale, che forse solo il Sommo Poeta saprebbe raccontare. Sin dal 2015, la Cop29 aveva il compito di definire i finanziamenti 2026-2035, necessari al raggiungimento di due fondamentali obiettivi: lo sviluppo sostenibile dei paesi poveri; e la riparazione dei danni dovuti al riscaldamento globale.

Da 9 anni dunque i Governi sapevano di dover affrontare queste decisioni, che per 10 anni avrebbero rappresentato un punto fermo per tutti. E non occorre certo essere grandi economisti, o climatologi di fama mondiale, per capire che in una crisi climatica come la nostra, sbagliare una decisione così importante può fare la differenza tra la felicità e la disperazione per miliardi di persone. Per preparare tutti al meglio, le Nazioni Unite hanno fatto realizzare dai migliori accademici uno studio intitolato “Aumentare l’ambizione e accelerare l’erogazione di finanziamenti per il clima”. Qui il “Gruppo di esperti indipendenti di alto livello sui finanziamenti per il clima” — che da tre anni assiste le Cop — ha messo in luce la situazione climatica e finanziaria, all’interno della quale andavano prese le decisioni.

Difficile riassumere in poche righe le tante informazioni di questo pregiato lavoro, ma a chi lo legge risulta molto chiaro che nel periodo 2026-2030, la finanza necessaria oscilla fra i 31mila 500 e i 33mila 500 miliardi di dollari, con un incremento dell’11,1% nel quinquennio successivo ‘31-‘35. Cifre astronomiche naturalmente, ma che vanno assolutamente trovate se non vogliamo che il riscaldamento globale superi i limiti stabiliti a Parigi — come purtroppo sta già facendo — con effetti devastanti visti già chiaramente a Valencia, in Emilia Romagna e in ogni altra parte del mondo.

Dunque le 193 delegazioni dei paesi Onu avrebbero dovuto discutere dove trovare, e come spendere, circa 6mila 500 miliardi l’anno per i prossimi 10 anni. Ma soprattutto avrebbero dovuto definire criteri capaci di rendere questi fondi un fattore di giustizia climatica e sociale. Quale migliore occasione infatti, per far nascere un’economia più equa, grazie alla quale i paesi che inquinano e si sono arricchiti sfruttando il pianeta offrano ai paesi poveri e vittime del cambiamento climatico l’opportunità di emanciparsi dalla propria miseria attraverso uno sviluppo sostenibile, vantaggioso per tutti? Alla fine, in un’ottica globale, l’operazione consisteva nel destinare circa il 6% del pil mondiale al salvataggio della nostra unica risorsa disponibile: la Terra. O qualcuno ne ha un’altra?

I negoziati della Cop29 però, si sono presto trasformati in uno scontro sul contributo che i paesi ricchi avrebbero dovuto dare a quelli poveri. E così, all’iniziale richiesta del sud povero di ricevere 1,3 trilioni di dollari l’anno, dopo lunghissime ed estenuanti trattative, il nord ricco ha risposto concedendo un contributo annuale di appena 0,3 trilioni di dollari.

Viene da chiedersi cosa ne sarà di tutti gli altri investimenti necessari a salvarci (?) e soprattutto a quali risorse attingeremo quando la situazione, affidata solo al vorace mercato, finirà per travolgerci tutti?

Nello studio degli esperti è scritto a chiare lettere che questi investimenti possono portare già nel 2030 enormi benefici — stimati tra il 15 e il 18% del pil mondiale — in termini di minori impatti negativi sulla produttività, sulla salute, sulle risorse naturali, sulla biodiversità. A questi vantaggi vanno poi aggiunti quelli della migliore efficienza, dell’aumento di produttività, del migliore uso dei servizi ecosistemici e del rafforzamento della stabilità sociale, capaci di generare un incremento tra l'11 e il 18% del pil globale.

Quindi, con un po’ di cooperazione tra nord e sud del mondo, in soli 5 anni sarebbe possibile migliorare l’economia mondiale con incrementi del pil che oscillano tra il 26 e il 36%. Ma i negoziatori hanno pensato solo ai soldi da tirare fuori, qui ed ora, preferendo tenere la borsa ben chiusa.

Un’altra occasione mancata. Ma soprattutto una premessa molto preoccupante per la lotta al cambiamento climatico, in un decennio decisivo per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e quindi per risolvere la crisi in atto.

Nell’anno del Giubileo la cancellazione del debito dei paesi poveri, proposta dalla Chiesa Cattolica alla Cop29 con la dichiarazione del Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, avrebbe avuto un’incredibile impatto sulla fiducia dell’opinione pubblica mondiale, verso la capacità del genere umano di rispondere alle crisi con un salto di civiltà.

Ma anche solo la sana pianificazione finanziaria indicata dall’Onu avrebbe potuto assicurare una forza straordinaria al nostro malandato multilateralismo, permettendoci di superare la disarmante impasse che tutti preoccupa. Pensiamo solo alle possibili ricadute positive sulle tensioni geopolitiche, o sui crescenti fenomeni delle migrazioni ambientali.

Insomma “i saggi hanno indicato la luna, ma lo stolto si è limitato a guardare il dito”. E adesso?

Adesso dobbiamo guardare in faccia la realtà e prendere ciò che di buono è stato fatto, per ricominciare da lì, l’inevitabile battaglia contro il riscaldamento globale.

Di buono a Baku c’è stata la presenza fino all’ultimo di tutti i delegati. Nonostante le lunghe notti di lavoro, andate ben oltre la data conclusiva dei negoziati, i Governi di tutto il mondo hanno testimoniato che il “confronto tra le parti” è l’unica strada possibile per risolvere i problemi globali.

Non importa se le elezioni negli Stati Uniti avranno come probabile ricaduta la perdita di un importante contributore finanziario. Non importa se l’accordo che ne viene fuori è del tutto insufficiente a risolvere i problemi, o se qualcuno ne approfitta per sottrarsi ai propri impegni. Il multilateralismo resta la risposta universalmente riconosciuta alle crisi planetarie! E questo è un risultato decisivo che ci portiamo tutti a casa, anche con un pizzico di orgoglio.

Ma di buono alla Cop29 c’è stato anche qualche risultato finanziario. Trecento miliardi l’anno non sono che una goccia nel mare. Ma il mare è fatto di gocce e una prima goccia è stata data. Dunque sono stati affermati, una volta per sempre, tutti i principi sottostanti a questi flussi finanziari: come la protezione comune di un ecosistema che non conosce dogane; come la giustizia sociale verso le vittime del clima; come l’urgenza di cambiare insieme i nostri modelli economici nella direzione dello sviluppo sostenibile. Lo stesso via libera al mercato globale del carbonio — che da quasi 10 anni aspettava di essere sbloccato affinché “chi inquina paghi” — testimonia una condivisa visione planetaria, nella quale sono sempre più urgenti soluzioni tecniche in grado di accelerare la transizione.

Non è molto. Ma non è neanche poco.

di Pierluigi Sassi