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La buona Notizia
Il Vangelo della IV domenica di Avvento (Lc 1, 39-45)

Il Vangelo delle donne

 Il Vangelo delle donne  QUO-286
17 dicembre 2024

Mi ha sempre colpito l’importanza che Gesù attribuisce alle donne durante la sua breve vita tra noi, andando controcorrente rispetto alla sua epoca e al maschilismo imperante. Sovverte l’ordine stabilito e presta attenzione alle persone modeste, neglette, disprezzate. Insolente, trasgressivo, a volte per molti inascoltabile, fa delle donne non solo compagne di cammino, le prime testimoni della sua resurrezione, ma anche le sue prime profetesse. Le donne non accolgono solo la vita, ma anche la sua parola.

E che dire dell’incontro tra Maria ed Elisabetta? Ripercorriamo la storia. Maria ha appreso dall’angelo che porterà in grembo il figlio di Dio. Si mette subito in viaggio per raggiungere tra le montagne sua cugina Elisabetta, sposa di Zaccaria, anche lei in attesa di un lieto evento. Mentre apre le braccia a Maria, Elisabetta sente che il bambino che ha in grembo sussulta alla voce della cugina. Quel bambino, lo sapremo più tardi, è Giovanni Battista, il Precursore, l’ultimo profeta, che un giorno annuncerà agli uomini l’avvento del Figlio di Dio. Ebbene, chi apre la bocca in quel momento? Elisabetta. Inspirata, intuisce tutto: quello che Maria non le ha ancora detto e che non è visibile a occhio nudo — la sua gravidanza — come pure l’identità del padre, nota solo a Dio, all’angelo e a Maria. Non contenta di annunciare, Elisabetta benedice: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!».

Prima di chiunque altro, una donna proclama la Buona Novella. Una donna annuncia l’avvento di Gesù. Onorando Maria, Elisabetta supera i divieti sociali: lungi dal rimproverare o dal respingere una donna incinta e non sposata, cancella ogni idea di disonore e si congratula con sua cugina. Laddove altri vedrebbero solo vergogna, lei vede amore. In seguito, Gesù mostrerà lo stesso tipo di affetto e di stima per le prostitute e i peccatori: includerà, non escluderà.

Il quartetto passa subito dopo alla celebrazione. Esplode la gioia. L’allegria si diffonde, fervente, contagiosa, unendo Elisabetta, Maria, Giovanni Battista e Gesù. Di corpo in corpo, di spirito in spirito, le madri e i bambini esultano. C’è un altro elemento sorprendente in questo testo: i nascituri parlano. A quell’epoca si disprezzavano i bambini, non si attribuivano loro né intelligenza, né buon senso, né giudizio prima di una certa età. Eppure Gesù minuscolo, embrionale, riveste sua madre di una dignità regale, e Giovanni, feto di sei mesi, risveglia la propria all’accoglienza del mistero divino. Così Dio, al quale non manca il senso dell’umorismo, ha voluto che il primo dialogo sulla speranza del mondo fosse quello tra due donne incinte e tra due embrioni. Dio, polvere urticante del conformismo maschilista, mostra così che dobbiamo liberarci dei nostri pregiudizi e cambiare.

Maria ed Elisabetta credono. Che cosa significa credere? Credere è vedere l’invisibile, cogliere il mistero, percepire il bambino che si porta in grembo, discernere il mondo a venire, riconoscere l’amore in tutte le sue forme, per quanto diverse, difformi, contraddittorie. La fede permette di vedere tutto ciò costantemente. Credere è discernere l’alba nelle tenebre, la vita nel vuoto della morte, il senso al posto dell’assurdo. Durante queste ore brevi e oscure dell’Avvento, ascoltiamo Maria ed Elisabetta: spunta il giorno. 

di Èric-Emmanuel Schmitt