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Urgono cantastorie

 Urgono cantastorie  QUO-003
04 gennaio 2025

Di questo c’è bisogno, di poeti, di poesia. Papa Francesco lo ha ripetuto in molti modi e in diversi momenti, anche con una lettera scritta appositamente, quella pubblicata lo scorso 4 agosto sul ruolo della letteratura nella formazione. C’è bisogno di bellezza e di qualcuno che la canti. Di persone che cantino le storie degli uomini. Lo dice efficacemente il ritornello di quella bella canzone di De Gregori, La ragazza e la miniera: «Meno male che c’è sempre qualcuno che canta e la tristezza ce la fa passare». Quel “sempre” è ancora vero, valido?

Nell’ultima pagina del giornale di ieri i due articoli, l’intervista al filosofo Silvano Petrosino e la recensione ai testi del teologo Karl Rahner, erano entrambi concentrati su questa necessità, questa urgenza: il mondo ha bisogno di un popolo che si raccolga attorno alle storie, a quel “fuoco” che scalda i cuori e li scioglie nella compassione e nella solidarietà, che doni di nuovo forza e vitalità a una società sfibrata, sfilacciata. La politica ha perso il “filo”, non sembra più in grado di aggregare e dare sogni e visioni ai cittadini sempre più sfiduciati. Qualcun altro allora ci deve pensare.

Nei saggi letterari Rahner associava la figura del poeta a quella del sacerdote, entrambi “maneggiano” le parole che sono eco della Parola. Entrambi hanno quindi una chiara e pesante responsabilità. Con l’arguzia che lo contraddistingue il poeta inglese Chesterton ricorda che «è necessaria la presenza dei preti per ricordare agli uomini che verrà un giorno in cui moriranno. In certe epoche è, però, necessario che ci sia un altro genere di preti, chiamati poeti, per ricordare agli uomini che — sorprendentemente — sono ancora vivi». Siamo ancora vivi, siamo ancora umani, noi uomini. Non è scontato, non è facile, perché non ci vuole molto a perdere il senso dell’umano, quel senso che ci viene ricordato da persone, i poeti, come noi, ma che hanno questo dono, di farci sentire la bellezza, anzi la ricchezza della vita, come dice uno dei maggiori poeti del Novecento, Rainer Maria Rilke: «Se la vostra quotidianità vi sembrerà povera, non date a essa la colpa. Accusate invece voi stessi di non essere abbastanza poeti per scoprire tutte le sue ricchezze. Per il Creatore, infatti, niente è povero».

Dio è il poeta più grande, perché, lo annota Dietrich Bonhoeffer, «Dio è talmente grande che per lui non esiste nulla che sia troppo piccolo». Siamo noi uomini, quando perdiamo lo sguardo poetico e con esso l’umanità, che classifichiamo, che cadiamo, usando una terminologia cara al Papa, nella «cultura dell’aggettivo» anziché restare nella «teologia del sostantivo». Per evitare tutto questo, per rimanere umani e custodire questo mondo sempre più chiuso in una morsa autodistruttiva, «L’Osservatore Romano» dà vita a una nuova iniziativa e da oggi e per ogni sabato di questo Anno Santo della Speranza, pubblicherà un racconto, un testo inedito che scrittrici e scrittori italiani offrono all’attenzione dei lettori. All’appello cercasi cantastorie, qualcuno ha risposto, e questo è già un segno evidente che la speranza è possibile. 

di Andrea Monda