· Città del Vaticano ·

«I bambini occupano un posto speciale nel cuore di Dio»

L’educazione dei piccoli
figlia della speranza
e dell’umiltà

 L’educazione  dei piccoli  figlia della speranza e dell’umiltà  QUO-005
08 gennaio 2025

Aiutare i più piccoli è un’attività delicata, che richiede molta fatica, avere a che fare con i bambini richiede un cuore grande, cuore cioè coraggio. Nella catechesi dell’udienza generale di oggi il Papa riferendosi ai bambini emarginati e sfruttati o, peggio, abusati, ci ha ricordato che «facciamo fatica a guardare negli occhi un bambino». Un’attività delicata perché non esistono maestri “neutrali” ma sempre con l’azione educativa nutre positivamente i bambini o, al contrario, provoca loro dei danni e su questo punto il monito del Papa è chiaro nella catechesi di oggi: «I bambini occupano un posto speciale nel cuore di Dio, e chiunque danneggia un bambino, dovrà renderne conto a Lui».

Educare vuol dire sperare. Questa verità è lampante eppure, come ne La lettera rubata di E.A. Poe, a volte le cose poste più in evidenza diventano le più nascoste ed invisibili. Sabato il Papa, parlando a diverse associazioni cattoliche dedicate all’educazione, ha ricordato e fatto risplendere questa verità, con parole semplici: «Un buon insegnante è un uomo o una donna di speranza» ha detto, «perché si dedica con fiducia e pazienza a un progetto di crescita umana». Solo chi nutre speranza si getta nell’avventura dell’educazione, in quella semina interamente intrisa del senso della fiducia e della gratuità, anche perché non lui ma altri raccoglieranno i frutti di quel lavoro.

Da questo punto di vista il Papa ha sottolineato che «il Giubileo ha molto da dire al mondo dell’educazione e della scuola. Infatti, “pellegrini di speranza” sono tutte le persone che cercano un senso per la propria vita e anche coloro che aiutano i più piccoli a camminare su questa strada». Quest’ultima immagine usata dal Papa rinvia all’etimologia stessa della parola “pedagogia” che proviene dalla combinazione delle parole pàis (bambino) e àghein (guidare, condurre, accompagnare). Nella Grecia antica il “pedagogo” era infatti un individuo, spesso uno schiavo, incaricato di accompagnare i bambini durante il percorso da casa alla scuola. Dopo la conquista romana della Grecia, il termine paedagogus fu utilizzato per identificare lo schiavo greco incaricato non solo di accompagnare i bambini, ma anche di insegnare loro la lingua greca.

Educare quindi è una vera e propria arte che per essere praticata chiede non solo la speranza, che «è il motore che sostiene l’educatore» ha detto sabato il Papa, «nel suo impegno quotidiano, anche nelle difficoltà e negli insuccessi», ma anche l’umiltà. E qui Francesco ha fatto riferimento alla «pedagogia di Dio» e illustrato il suo “metodo educativo” che «è quello della prossimità, la vicinanza. (...) Come un maestro che entra nel mondo dei suoi alunni, Dio sceglie di vivere tra gli uomini per insegnare attraverso il linguaggio della vita e dell’amore. Gesù è nato in una condizione di povertà e di semplicità: questo ci richiama a una pedagogia che valorizza l’essenziale e mette al centro l’umiltà, la gratuità e l’accoglienza. La pedagogia distante e lontana dalle persone non serve, non aiuta. Il Natale ci insegna che la grandezza non si manifesta nel successo o nella ricchezza, ma nell’amore e nel servizio agli altri. Quella di Dio è una pedagogia del dono». L’umiltà. Che è semplice ma per niente facile, anzi difficilissima, quasi impossibile. Perché si tratta di abbassarsi. Per aiutare i piccoli a camminare nella “strada del senso” bisogna chinarsi. O forse in-chinarsi, perché paradossalmente abbassandosi si può arrivare ad altissime vette, come suggeriscono i versi di questa poesia di Janusz Korczak intitolata Quando ridiventerò bambino:

Dite: È faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi,
inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi
fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

di Andrea Monda