Compimento dell’umanità

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09 gennaio 2021

Mi sembra che siano essenzialmente due le idee alla base della lettera enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco. Vi è innanzitutto la convinzione che la fraternità costituisca il cuore stesso della proposta che il Dio biblico rivolge agli uomini. Al numero 46 si parla esplicitamente della fraternità come ciò «che il Padre comune ci propone». È estremamente interessante che si affronti questo tema in termini di «proposta», suggerendo così l’idea che il rapporto tra Dio e gli uomini non può essere letto semplicemente in termini di legge o di contratto: il Dio biblico ha una certa idea di uomo ed è sempre questa idea ch’Egli non si stanca di proporre, invece di imporre, a «tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose» (n. 56). I paragrafi del secondo capitolo (paragrafi nn. 56-86), quello che commenta la parabola del buon samaritano, cercano di giustificare questa idea — lo ripeto: il Dio biblico proporrebbe all’uomo la fraternità come compimento dell’umanità stessa — ripercorrendo sinteticamente la storia della salvezza: è infatti solo sullo «sfondo» della tradizione ebraica (§§ 57-62) che è possibile ascoltare e riconoscere in tutta la sua verità l’appello evangelico all’amore fraterno. Il Dio biblico avrebbe dunque sempre proposto agli uomini di buona volontà la fraternità come forma ideale delle relazioni tra gli uomini.

Il valore della fraternità, tuttavia, non sarebbe da ricondurre alla sola volontà di Dio poiché esso può essere riconosciuto ed apprezzato anche limitandosi, se così posso esprimermi, ad un’analisi esclusivamente antropologica dei rapporti tra gli esseri umani. Emerge a questo livello la seconda idea essenziale di cui parlavo più sopra: al di fuori della fraternità, infatti, non può esserci altro che la distruzione della dimensione sociale e politica della convivenza umana. È per questa ragione che all’interno dell’enciclica il tema biblico della fraternità viene messo in stretta relazione con il tema politico dell’amicizia sociale. È questo a mio modesto avviso uno degli aspetti più profondi e innovativi del testo papale: la parabola evangelica, infatti, «rivelerebbe una caratteristica essenziale dell’essere umano, tante volte dimenticata: siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore» (n. 68). Contro questa verità si muoverebbe molta propaganda politica, i media e i costruttori di opinione pubblica, che infatti «insistono nel fomentare una cultura individualistica e ingenua» (n. 166).

Una simile cultura sarebbe ingenua proprio perché fondata su un’idea semplicistica del soggetto umano. A tale riguardo S. Žižek parla giustamente di «ideologia liberale» (cfr. ad esempio Credemi, Meltemi 2005, pp. 178-179); quest’ultima sarebbe fondata sull’idea di un soggetto psicologicamente ben formato, senza fratture e fragilità, sempre presente a se stesso, ricco di tendenze e abilità naturali che attendono solo di passare dalla potenza all’atto. L’invenzione dell’individuo psicologico liberale sarebbe dunque il frutto di un’idea di uomo senza peccato, senza inconscio, senza incertezze e dubbi, un uomo che non dovrebbe far altro che dare spazio alla sua natura interiore che in se stessa sarebbe già di per sé perfettamente formata e del tutto compatta. Al n. 166 il Papa scrive: «Perciò, la mia critica al paradigma tecnocratico non significa che solo cercando di controllare i suoi eccessi potremmo stare sicuri, perché il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nello organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano. La questione è la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo, che fa parte di ciò che la tradizione cristiana chiama “concupiscenza” [...] (Quest’ultima) non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso dei secoli [...]».

Contro tutti coloro che insistono nel fomentare una cultura individualista ed ingenua, contro l’ideologia liberale e la semplicista concezione del soggetto su cui si fonda, sono dunque necessari «l’impegno educativo, lo sviluppo di abitudini solidali, la capacità di pensare la vita umana più integralmente [...] [Infatti] ci sono visioni liberali che ignorano questo fattore della fragilità umana e immaginano un mondo che risponde a un determinato ordine capace di per sé stesso di assicurare il futuro e la soluzione di tutti i pensieri [...] Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte qualunque sfida si presenti» (nn. 167-168).

Ecco, forse è proprio questa l’ipotesi che l’enciclica propone a tutti gli uomini ma sopratutto a quei «sapienti» che troppo spesso confondono il realismo con il cinismo: forse l’idea di fratellanza è il frutto di un pensiero più profondo, più maturo e stimolante di quello che, per l’appunto, non ha mai né la forza né il coraggio di fare un passo oltre il «povero e ripetitivo» elogio di una «cultura individualista ed ingenua».

di Silvano Petrosino