La fratellanza, codice
Un incontro di alto livello su «Fraternità, multilateralismo e pace», trasmesso online, si è svolto nel pomeriggio di giovedì 15 aprile per iniziativa della Missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre Organizzazioni internazionali a Ginevra, in collaborazione con diverse realtà diplomatiche e accademiche. Obiettivo, la presentazione dell’enciclica Fratelli tutti . Alla conferenza, moderata per la prima parte dall’arcivescovo Ivan Jurkovič, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, sono intervenuti il cardinale Parolin — pubblichiamo in questa pagina un servizio sulla sua relazione — e Tatiana Valovaya, direttrice generale dell’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, la quale ha sottolineato che il documento del Pontefice offre un progetto per il mondo dopo la pandemia da covid-19 e mira a promuovere l’aspirazione universale alla fraternità e alla giustizia sociale con al centro la dignità umana. Guy Rider, direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ha fatto notare che la dottrina sociale della Chiesa è sempre stata di grande ispirazione. E in questa enciclica, ha aggiunto, il Papa ricorda l’importanza del lavoro per l’essere umano, non solo come mezzo per soddisfare le necessità materiali, ma come strumento per lo sviluppo spirituale e per riaffermare l’identità dell’individuo. Peter Maurer, presidente del Comitato internazionale della Croce rossa, ha detto che la fratellanza è alla base dell’umanitarismo e trascende le culture, le religioni, il tempo e lo spazio. È attraverso un’azione pratica di solidarietà, ha aggiunto, che si possono costruire la fiducia e superare le divisioni. Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha ricordato che è oggi più importante che mai una convenzione sui rifugiati, in quanto ognuno ha diritto di cercare asilo per sfuggire alle persecuzioni. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha sottolineato che la pandemia ha mostrato di cosa è capace l’umanità nel meglio e nel peggio. Ma, ha detto, l’unico modo per affrontare minacce condivise è trovare soluzioni comuni. Nella seconda parte, moderata dall’ambasciatore Marie-Thérèse Pictet-Althann, osservatore permanente dell’Ordine di Malta presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, sono intervenuti il cardinale Ayuso Guixot — anche sulla sua relazione offriamo un servizio nella pagina successiva — e il reverendo Ioan Sauca, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, che ha detto di considerare il dialogo interreligioso uno strumento privilegiato per promuovere l’unità, la pace e la giustizia in uno spirito di fraternità umana. Il rabbino Abraham Skorka ha fatto notare che il tema dell’enciclica — cioè che gli esseri umani sono fratelli e sorelle — è centrale nella Genesi , i cui capitoli iniziali descrivono tutta l’umanità discendente da genitori comuni. Infine, il principe El Hassan bin Talal ha detto che l’esperienza attuale della pandemia insegna che non si può andare avanti senza un’etica della solidarietà umana.
L’intervento del cardinale segretario di Stato
«Accesso alla salute, rifugiati, lavoro, diritto internazionale umanitario e disarmo» sono le priorità della Santa Sede nel declinare la fratellanza nell’azione diplomatica multilaterale. È andato dritto all’analisi della realtà e alle prospettive per l’oggi e per il domani il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, intervenendo, nel pomeriggio di giovedì 15 aprile, all’incontro di riflessione sull’enciclica Fratelli tutti.
Oggi non basta più “fronteggiare” le situazioni di crisi: «con una maggiore audacia creativa», occorre «preparare — ha spiegato il cardinale — un progetto in grado di rispondere a ciò che viene dopo» avvalendosi di un “elemento in più”: «la responsabilità individuale e la capacità di sentirsi fratelli, cioè di far propri i bisogni degli altri attraverso una reciprocità di rapporti che superi l’isolamento e coinvolga gli Stati, i singoli e gli organismi internazionali». E proprio «l’incitamento di Papa Francesco domanda sempre più una presenza e una condotta rispondente all’attualità delle relazioni tra gli Stati e tra i popoli, specialmente quando sembrano prevalere atteggiamenti che abbandonano la visione del bene comune».
«Per comprendere in pieno il concetto di fratellanza e la sua declinazione nell’azione diplomatica multilaterale della Santa Sede — ha affermato il segretario di Stato — può essere utile tornare all’avvio del pontificato di Papa Francesco. Si ricorderà che la fratellanza è il primo tema al quale ha fatto riferimento il Papa nel giorno della sua elezione, più di otto anni fa, quando ha espresso questo desiderio: “Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Tutte le azioni e attività successive del pontificato sono state una naturale e coerente conseguenza di un cammino orientato a essa».
Riflettendo a un anno dall’inizio della pandemia — ha suggerito il cardinale Parolin — «vediamo come tale criterio programmatico risulta decisivo se si vuole superare la dicotomia attuale tra “il codice dell’efficienza” e il “codice della solidarietà”. Infatti, la fratellanza ci spinge a un “codice” ancora più esigente ed inclusivo». Se la solidarietà permette ai diseguali di diventare eguali, la fratellanza consente agli eguali di essere persone diverse.
«Nell’azione multilaterale — ha spiegato — la fratellanza si traduce nel coraggio e nella generosità per stabilire liberamente determinati obiettivi comuni e per assicurare l’adempimento in tutto il mondo di alcune norme essenziali, in virtù della locuzione latina pacta sunt servanda, con la quale si vuole mantenere fede alla volontà legittimamente manifestata, per risolvere le controversie mediante i mezzi offerti dalla diplomazia, dal negoziato, dalle Istituzioni multilaterali e dal più ampio desiderio di realizzare un bene comune realmente universale e la tutela degli Stati più deboli».
E proprio «sulla base di questa breve premessa sulla fratellanza», il segretario di Stato ha condiviso «alcune riflessioni sui temi principali di competenza» delle diverse Organizzazioni internazionali «e le priorità della Santa Sede in materia: accesso alla salute, rifugiati, lavoro, diritto internazionale umanitario e disarmo».
Per l’ambito della salute, è evidente che l’umanità stia sperimentando, con la pandemia, di navigare tutti sulla stessa barca. In particolare, la «corsa al vaccino e alle cure ha reso manifesto il gap nell’accesso alle cure fondamentali tra i Paesi sviluppati e il resto del mondo».
Da parte sua, «la Santa Sede di fronte a un problema sistemico, quale quello delle barriere all’accesso alle cure, acuito dall’emergenza attuale, ha offerto una serie di linee guida per affrontare tale questione, ispirate dalla convinzione dell’importanza della fratellanza. In ogni momento, dobbiamo concentrarci sul sottostante principio del servizio al bene comune». Inoltre, ha insistito il cardinale, «la comunità internazionale ha l’obbligo di garantire che qualsiasi vaccino e trattamento covid-19 sia sicuro, disponibile, accessibile e conveniente per tutti coloro che ne hanno bisogno. Tale approccio è ben esemplificato da san Giovanni Paolo
Il segretario di Stato ha quindi ricordato che «l’attenzione per i più bisognosi e per coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità, in particolare per i rifugiati, i migranti e gli sfollati interni, non è solo testimonianza di fratellanza, ma una costatazione di un’attenzione al bisogno reale delle nostre sorelle e dei nostri fratelli». Su questa emergenza Francesco rivolge «appelli incessanti ai leader e agli Organismi internazionali per una nuova globalizzazione della solidarietà capace di soppiantare quella dell’indifferenza». E se «i rifugiati hanno sempre fatto parte della storia, purtroppo ancora oggi il loro numero e le loro sofferenze continuano a essere una ferita nel tessuto sociale della comunità internazionale». Proprio «nell’anno in cui ricorre il 70° dell’Istituzione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati — ha fatto notare il cardinale — continuiamo dolorosamente a constatare che il numero delle persone in cerca di protezione continua a salire inesorabilmente. Ciò sottintende problematiche umanitarie e sociali profonde».
In questa prospettiva, il cardinale Parolin ha affermato che «la Santa Sede accoglie la visione di fondo del Global Compact sui rifugiati, che mira a rafforzare la cooperazione internazionale attraverso una condivisione della responsabilità più equa e prevedibile, ricordando al contempo che la soluzione duratura ideale e più completa è quella di assicurare i diritti di tutti a vivere e prosperare in dignità, pace e sicurezza nei propri Paesi d’origine».
Proseguendo nel suo intervento, il segretario di Stato ha proposto di ripensare anche la questione del lavoro. Riconoscendo che «le strategie di contenimento della pandemia adottate globalmente hanno avuto un significativo impatto su lavoratori, anche informali, piccoli imprenditori e commercianti, che hanno visto un’erosione dei propri risparmi e hanno dovuto sovente fronteggiare delle barriere sistematiche all’accesso all’assistenza sanitaria di base». E più che mai «nel mondo di oggi, per il bene dei processi di costruzione della pace, il formato tradizionale del dialogo sociale deve essere ampliato e diventare più inclusivo. Il coinvolgimento delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro è fondamentale, ma dovrebbe essere integrato da attori che rappresentano l’economia informale e le preoccupazioni ambientali».
Partendo dalla considerazione, che Hen-ry Dunant, fondatore della Croce rossa — «fortemente impressionato dalle violenze perpetrate e dalla disorganizzazione dei soccorsi — adottò anch’egli il grido “Tutti fratelli” per convincere la popolazione locale e i volontari a prestare soccorso a prescindere dall’appartenenza alle parti in conflitto», il cardinale ha rilevato l’«urgente bisogno di rafforzare la diffusione e la promozione del rispetto del diritto umanitario».
Un diritto, ha spiegato, che «si propone di salvaguardare i principi essenziali di umanità in un contesto, quello della guerra, che è in sé stesso disumano e disumanizzante, proteggendo la popolazione civile e mettendo al bando armi che infliggono sofferenze tanto atroci quanto inutili».
Riproponendo l’universalità delle Convenzioni di Ginevra del 1949, «riconoscimento implicito di quel legame di fratellanza che unisce i popoli, la Santa Sede, cosciente di omissioni ed esitazioni, spera che gli Stati possano giungere ad ulteriori sviluppi del diritto internazionale umanitario, al fine di tenere conto adeguatamente delle caratteristiche dei conflitti armati contemporanei e delle sofferenze fisiche, morali e spirituali che ad essi si accompagnano, con l’obiettivo di eliminare i conflitti del tutto».
«Il desiderio di pace, di sicurezza e di stabilità — ha proseguito il cardinale — è uno dei desideri più profondi del cuore umano, poiché esso è radicato nel Creatore, che fa membri della famiglia umana tutti i popoli». Ma «tale aspirazione non può mai essere soddisfatta soltanto da mezzi militari e meno che mai dal possesso di armi nucleari ed altre armi di distruzione di massa. I conflitti provocano sempre sofferenze, in chi li subisce, certamente, ma anche in chi li combatte. Non è retorico affermare che la guerra è l’antitesi della fratellanza».
Ed è, appunto, «in quest’ottica che la Santa Sede incoraggia con convinzione l’impegno degli Stati nell’ambito del disarmo e del controllo degli armamenti verso accordi duraturi sulla strada della pace e, in modo particolare, sul fronte del disarmo nucleare.
«Se è valida l’affermazione che siamo tutti fratelli e sorelle — ha rilanciato il cardinale Parolin — come può la deterrenza nucleare essere alla base di un’etica di fraternità e coesistenza pacifica tra i popoli?».
Il segretario di Stato ha indicato «alcuni segnali incoraggianti come la recente entrata in vigore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Fanno però riflettere le ingenti somme di denaro e le risorse umane destinate agli armamenti». Anche perché «legare la sicurezza nazionale all’accumulo di armi è una logica controproducente». Con una incisiva considerazione: «La sproporzione tra le risorse materiali e i talenti umani dedicati al servizio della morte e le risorse dedicate al servizio della vita è motivo di scandalo. Sono ben altre le sfide che affliggono la comunità internazionale e tali dovrebbero essere le priorità per gli Stati».