Con questo articolo siamo arrivati al terzo episodio della serie SicutErat - Riti e orazioni del tempo che fu, scritta in esclusiva per «L’Osservatore Romano» dal romanziere veneto Paolo Malaguti. Grazie alla sua fantasia e alla sua penna entriamo in un mondo vicino (giovane è l’autore) ma al tempo stesso lontano: un mondo contadino in cui la vita era scandita dai tempi della liturgia, pubblica e privata, del cattolicesimo. Lasciandosi guidare dalla saggia mano dello scrittore, il lettore potrà fare (o rifare) conoscenza di quella realtà di cui parla Papa Francesco quando afferma che «la fede si trasmette in dialetto». Quel dialetto che non è solo il «lessico familiare» ma tutto quell'insieme di linguaggi, per lo più non verbali, in cui prevale la dimensione affettiva e sensoriale, che permettono il passaggio del dono della fede. Questo “dialetto” è qualcosa di vicino all'immagine descritta da padre Antonio Spadaro nella recente meditazione sul Vangelo di domenica scorsa, dedicata al rapporto tra il Buon Pastore e le pecore, quando scrive che «la voce del pastore non parla, non fa discorsi alle pecore, ma incita con suoni tutti suoi. La voce non è discorso. Essa è tono, invenzione, calore. Non deve essere articolata in forme definite per essere riconosciuta. Come gli amanti: non si fanno tra loro pesanti discorsi amorosi, ma usano nomignoli, emettono suoni di riconoscimento privato. La voce è puro riconoscimento. Come la fede». È di questa fede che parla, tra le righe di racconti ricchi e variopinti di memoria, acume e buon umore, questa serie mai seriosa e a tratti commovente, curata da Malaguti.
02 maggio 2023