Lettere dal Direttore
La malattia il male
L’intervista a Michela Murgia pubblicata sul «Corriere della Sera» sabato 6 maggio ha lasciato in molti un segno per la sua altissima intensità umana e spirituale. Ogni risposta è ricca di spunti che chiedono l’ascolto e la riflessione da parte del lettore. Non solo e non tanto per il merito di tante affermazioni, che vanno semmai ascoltate come si ascolta un racconto personale, quanto per la chiave di lettura che esse danno e la condivisione che esse offrono.
Ce n’è una in particolare che mi ha molto colpito, quando la scrittrice sarda, parlando apertamente del suo male, spiega anche la terapia che sta seguendo che «non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo».
Non ho alcun titolo per parlare di questioni sanitarie, ma c’è una dimensione più ampia, spirituale, che mi ha colpito e che secondo me merita e richiede molta attenzione.
Nella parabola della zizzania raccontata nel Vangelo secondo Matteo c’è qualcuno che vuole subito sradicare il male, e Qualcun altro, il padrone del campo, che invece sceglie un’altra via, che richiede tempo e certosina pazienza. Perché la zizzania, il male, non è solo un accidente ma finisce per coincidere con l’essenza stessa della buona pianta di grano. «Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono» dice Michela Murgia, «è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa». E aggiunge: «Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente».
Se seguiamo questa pista ci addentriamo nell’immenso tema del mistero del Male. Ma dobbiamo essere consapevoli che lo si può fare solo in punta di piedi. E con umiltà.
Il testo biblico, non solo della parabola della zizzania ma tutta la Bibbia, ci ricorda che il Male non è fuori ma dentro l’uomo, non è concentrato ma sparso in modo infinitesimale, non risiede in un posto preciso, per cui non ci sono “luoghi sicuri” sulla terra, finché il tempo scorrerà. In altri termini: non ci sono i buoni e i cattivi che si scontrano in modo chiaro e definito sullo scacchiere del mondo, ma bene e male sono confusi dentro la storia e soprattutto nel cuore dell’uomo, campo di battaglia secondo l’espressione di Dostoevskij dove il diavolo combatte con Dio. Siamo abitati dal soffio divino. Ma siamo anche tutti peccatori; e uno dei segni evidenti di questa nostra fragilità è proprio la tentazione ricorrente di pensare di potere noi sradicare il male una volta per tutte, giudicando e condannando gli altri e nello stesso tempo auto-assolvendoci. Magari ringraziando Dio perché «non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri...» (Luca 18,11).
Anche la Murgia di fatto ringrazia Dio nella sua intervista, ma in una chiave opposta, non della superbia ma della gratitudine, nel riconoscimento della ricchezza di questi cinquant’anni pari, dice, a «dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi».
Con questo spirito grato e allargando lo sguardo dalla vicenda personale ad una visione universale ed escatologica, che è la chiave della parabola della zizzania, mi viene in mente l’affermazione di Chesterton per cui: «Noi non sappiamo come andranno a finire le cose, ma sappiamo come sono cominciate. Dio ha creato il mondo e ha detto che era cosa buona. Questo sigillo di bontà resta nonostante tutte le cattiverie di cui l’uomo è stato, è e sarà capace. Questa è la speranza radicata nel mondo, il bene non arriverà domani, ci accompagna fin dalla prima alba». E quanto al male, che vive nella storia e dentro di noi, un’altra cosa sappiamo: che è già stato sconfitto e redento. E così anche la morte, che non è mai separata né separabile dalla vita (il vivente è un morente e il morente è un vivente), anch’essa è stata sconfitta. Ma non da noi.