Quarantuno anni fa l’Italia di Bearzot conquistava il suo terzo titolo mondiale. Uno dei protagonisti della finale vinta con la Germania per 3 a 1 fu Marco Tardelli che ricorda di quando il calcio si faceva con la pelota de trapo, il pallone di stracci. «La mia è una generazione che viene dal calcio di strada: ricordo che scavalcavo il muro e andavo a giocare a pallone nei campi vicino a casa, con le porticine fatte con i maglioni. A casa, mia mamma si lamentava sempre: un po’ perché rovinavo le scarpe, un po’ perché secondo lei ero troppo magro e malaticcio per dedicarmi a questo sport. Ma io non l’ascoltavo, d’estate giocavo dalla mattina alla sera, grandi partite e poi tutti a rubare susine e uva. Era bellissimo».
Un altro protagonista di quella finale fu il capitano della squadra, il portiere Dino Zoff che rimpiange i tempi dell’oratorio. «Oggi invece i campetti mi sembrano tutti chiusi a chiave. Per entrarci devi pagare. E quando paghi poi le cose cambiano, salta la legge del campo dove il più forte vince. E dove tutti migliorano. Al campetto siamo cresciuti tutti, magari con un parroco che ti levava il pallone se non andavi a messa».
Nostalgia dell’oratorio non solo perché c’era «un prete per chiacchierare», parafrasando la canzone Azzurro, ma perché c’era una dimensione fondamentale nel gioco (e nella vita): la gratuità.
di Andrea Monda