Verso il Giubileo
La soglia della misericordia
«Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli. Se infatti vorrai uscire verso il Vaticano o sulla via di Ostia, vi troverai i trofei di coloro che fondarono questa Chiesa» (Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, 2, 25, 6-7).
Con queste parole, tramandate da Eusebio vescovo di Cesarea, il prete Gaio intorno al 200 d.C., durante il pontificato di Papa Zefirino, invitava l’eretico Proclo a visitare, assieme alla tomba di Paolo, il sepolcro di San Pietro in Vaticano. Un piccolo monumento definito con termine greco tropaiòn, ovvero “monumento di vittoria”: nome altisonante riferito al monumento di qualcuno che ha vinto la morte attraverso la professione di fede e il martirio, ma in realtà un nome riferito a una piccola edicola funeraria edificata 100 anni dopo la morte di San Pietro a ridosso di un muro intonacato di rosso sul quale un anonimo pellegrino aveva scritto poche ma significative lettere greche: Pétros enì (Pietro è qui), oppure, sempre nella prospettiva della presenza di Pietro, Pétros enì[ réne] (Pietro in pace) [Figura 1]. Quell’edicola fu dunque — già nel ii secolo — l’ambita meta dei primi pellegrini che giungevano a Roma presso la sepoltura dell’apostolo Pietro in Vaticano.
D’allora il pellegrinaggio ad limina Petri non ha mai avuto interruzioni, anzi ha subito un progressivo incremento soprattutto in occasione degli anni giubilari.
Cento anni dopo la costruzione del “Trofeo” ricordato dal prete Gaio, venne costruita a ridosso dell’edicola una piccola stanza dedicata al culto petrino. Una stanza con muri intonacati sui quali i pellegrini, tra la fine del iii e il principio del iv secolo, incisero in latino i loro nomi, unitamente al cristogramma e alle iniziali di Pietro. Il cosiddetto “muro dei graffiti”, ancora visibile sotto l’altare maggiore, costituisce una eloquente testimonianza di questa consuetudine legata al pellegrinaggio e alla devozione a San Pietro.
Con il passare degli anni crebbe il numero dei fedeli che giungevano a Roma per raccogliersi in preghiera presso l’umile sepoltura di San Pietro non lontano dal circo vaticano dove aveva subito il martirio nel decimo anno del principato di Nerone. Così l’edicola funeraria del ii secolo e il “muro dei graffiti” sopra la venerata sepoltura petrina, vennero racchiusi da Costantino all’interno di un “monumento-sepolcro”, rivestito di marmi preziosi, ancora oggi parzialmente conservato. Un monumento così ricordato da Eusebio di Cesarea nell’anno 333: «uno splendido sepolcro davanti alla città, un sepolcro al quale accorrono, come ad un grande santuario e tempio di Dio innumerevoli schiere da ogni parte dell’impero romano» (Eusebio di Cesarea, Teofania, 47). [Figura 2]
Sulla venerata sepoltura apostolica, ambita meta di devoti pellegrinaggi, l’imperatore Costantino e il Papa Silvestro vollero edificare una magnifica basilica divisa in cinque navate da 88 colonne; una basilica grande, grandissima, il più grande tempio cristiano dell’epoca. Basti pensare che fu costruita su un terrazzamento artificiale di circa due ettari di superficie spostando enormi quantità di terra, interrando una necropoli ancora in uso e innalzando poderosi muri di fondazione. Un’impresa edilizia davvero straordinaria!
In quella basilica confluirono in ogni tempo fedeli da tutte le parti del mondo, come testimoniano le numerose monete (quasi 2000) rinvenute durante le celebri Esplorazioni sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano. Modeste offerte di anonimi pellegrini, molti dei quali furono certamente ospiti degli ostelli e di quelle “scholae peregrinorum” (ospizi dei pellegrini) sorte nel Medioevo attorno all’antica basilica: la “Schola Saxorum” poi divenuta “Schola Anglorum”; la “Schola Francorum”, la “Schola Longobardorum”, la “Schola Frisonum” e, più tardi, la “Schola Ungarorum”. A testimonianza di queste “scholae” resta oggi, davanti alla piazza dei Protomartiri Romani in Vaticano, l’ospizio ecclesiastico del “Camposanto Teotonico”, con il luogo di eterno riposo dei cattolici di Germania all’ombra del cupolone che si erge possente e grandioso sulla tomba di Pietro.
La prima basilica petrina nel iv secolo è nata grande, certamente più grande di quanto all’epoca potesse servire, e questo per una ricercata “vocazione all’accoglienza” che ispirò anche i Papi del Rinascimento nella costruzione del nuovo San Pietro. [Figura 3]
L’attuale basilica copre infatti una superficie di oltre due ettari — 22.000 mq per essere precisi — e oggi vede un’affluenza di pellegrini e visitatori che sempre più spesso si avvicina (o supera) le 50.000 presenze giornaliere. Quindi la basilica di San Pietro — la vecchia come la nuova — è stata pensata grande fin dalle origini per accogliere — come già scriveva Eusebio di Cesarea — «innumerevoli schiere provenienti da ogni parte del mondo».
Una accoglienza riservata a tutti: persone di ogni età e di ogni provenienza, di tutte le religioni e di nessuna religione. Un’accoglienza che il Papa Alessandro vii Chigi (1655-1667) volle tradurre in un simbolico abbraccio nella scenografica piazza San Pietro. Nei suoi magnifici emicicli colonnati, che inarcandosi si aprono Urbi et Orbi (a Roma e al Mondo), è infatti l’abbraccio della Chiesa guidata dal Papa, successore di Pietro, ma è anche l’invito ad entrare in basilica rivolto ad ognuno di noi dall’eletta schiera dei santi, le cui gigantesche statue — ben 140, alte più di tre metri! — si ergono sulla sommità del colonnato, costituito da 284 colonne disposte su quattro file, alte 16 metri (come un palazzo di cinque piani!). Un invito ad entrare nella “Casa di Pietro”, nella «santa dimora dell’apostolo, madre, splendore e vanto di tutte le chiese» come si leggeva nell’iscrizione che il Papa Innocenzo iii (1198-1216) volle comporre sul rinnovato mosaico absidale dell’antica basilica, ma anche un invito a divenire “pietre vive” della Chiesa di Cristo, a intraprendere un cammino interiore, a vivere la propria vita secondo il Vangelo e sull’esempio dei santi.
Ma è soprattutto la porta centrale di San Pietro, che fisicamente segna l’ingresso al tempio vaticano, ad evocare un ulteriore ed esplicito richiamo all’accoglienza. Su quella quattrocentesca porta di bronzo (alta quasi 8 metri), che già si apriva sulla navata grande della vecchia basilica, troviamo gli apostoli Pietro e Paolo, che vestono sotto la tunica abiti orientali e sono circondati da iscrizioni latine, arabe, ebraiche e armene a significare che la basilica — l’antica come la nuova — è da sempre luogo di accoglienza per tutti i popoli della terra.
E sempre nel portico, ovvero nello spazio sacro compreso tra l’abbraccio della grande piazza e la vastità della basilica, è murata l’iscrizione dell’indizione del primo Giubileo della storia. Un Giubileo nato in un clima di forte fervore religioso e di aumentato afflusso di pellegrini in San Pietro. L’epigrafe riporta la data del 22 febbraio 1300, festa della Cattedra di San Pietro, quando il Papa Bonifacio viii (1294-1303) nel corso di una solenne celebrazione nella basilica Vaticana, annunciò l’indulgenza plenaria «a tutti coloro — si legge nell’iscrizione — che nel presente anno 1300, cominciato da poco con la festa appena trascorsa della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo e in qualunque altro centesimo anno seguente accederanno alle suddette basiliche (quelle di San Pietro e di San Paolo) con riverenza veramente pentiti e confessati, e a quelli che veramente si pentiranno e si confesseranno in questo presente centesimo anno e in qualunque anno centesimo a venire, non solo concediamo pieno e assai largo, ma anzi pienissimo perdono di tutti i peccati (...)». [Figura 4]
Pochi decenni dopo la sequenza dei Giubilei venne ridotta a 50 anni da Clemente vi (1342-1352) e Urbano vi (1378-1389) la portò a 33 in riferimento agli anni della vita di Cristo, ma già con l’inizio del xv secolo si affermò la tradizione — tutt’ora in vigore — di celebrare il Giubileo ogni 25 anni, cadenza formalmente ratificata nel 1470 dal Papa Paolo ii Barbo (1464-1471). Nel 1500 Alessandro vi Borgia (1492-1503) volle che le Porte Sante delle quattro basiliche venissero aperte contemporaneamente, riservando a sé l’apertura della Porta Santa di San Pietro da lui rinnovata.
Ma quando venne introdotta la Porta Santa nella basilica Vaticana?
Già nel Seicento Giacomo Grimaldi (1568-1623), chierico beneficiato e archivista del Capitolo vaticano, con dispiacere ammetteva di non essere riuscito a trovare documenti al riguardo. Recenti e argomentati studi di Antonella Ballardini riferiscono l’introduzione di una Porta Santa in San Pietro al Papa Niccolò v Parentuccelli (1447-1445), il colto e intraprendente Pontefice che aveva celebrato il grande Giubileo del 1450. Si aggiunse allora una sesta porta sulla facciata della vecchia basilica, una porta piccola (“Porta parvula”) e dorata (“Porta aurea”), una porta murata e priva di battenti da aprirsi solo nelle ricorrenze degli anni giubilari. Quella porta immetteva nella navatella settentrionale della vecchia basilica, all’interno dell’antico oratorio di Giovanni vii (705-707) dove era l’altare della Madre di Dio (Theotokos) e quello, veneratissimo, del Volto Santo. Quella porta parvula e d’oro venne riprodotta dal Beato Angelico nella Cappella Niccolina [Figura 5] e fu sostituita nel 1499 con una nuova “Porta Santa” nello spazio del menzionato altare della Madre di Dio rimosso dal Papa Sisto iv Della Rovere (1471-1484) alla vigilia del Giubileo del 1475.
Nella nuova basilica si mantenne l’ubicazione della Porta Santa, sulla facciata interna, all’estremità settentrionale dell’atrio. Come in antico questa ultima porta (solo per l’entrata e non per l’uscita) è volutamente più piccola e stretta: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione (...)» (Mt 7, 13-14; cfr. Lc 13, 23-24 Sal 118, 20).
Come da tradizione il vano di questa porta continuò ad essere murato al termine di ogni Anno Santo: ordinario, ovvero legato a una scadenza prestabilita o straordinario, se indetto per qualche avvenimento di particolare importanza. [Figura 6]
Solo per il Giubileo del 1950 si decise di realizzare due battenti di bronzo per delimitare il varco della Porta Santa di San Pietro, non in modo stabile, ma solo nelle ore notturne durante l’Anno Santo. Fu infatti san Paolo vi, al termine del Giubileo del 1975, a disporre una collocazione permanente dei due battenti di bronzo che oggi ammiriamo, cambiando così il rituale dell’apertura e chiusura della Porta Santa e dando rilevanza non più all’abbattimento e all’elevazione del muro di mattoni, ma al simbolico gesto dell’apertura e della chiusura della Porta da parte del Papa. [Figura 7]
In precedenza il rito di apertura della Porta Santa prevedeva infatti l’abbattimento del muro composto da centinaia di mattoni sovrapposti senza calce, con impresso lo stemma della Fabbrica di San Pietro, la datazione e il nome del Pontefice che aveva chiuso la porta. Dopo i tre simbolici colpi di martello inferti dal Papa sul lato anteriore del muro [Figura 8], questo veniva “abbattuto” grazie alle abili manovre dei “Sanpietrini” che avevano preventivamente ingabbiato il muro su una speciale struttura lignea a tale scopo preparata.
L’origine dei battenti in bronzo della Porta Santa si colloca tra la prima e la seconda fase del concorso per la realizzazione delle tre porte maggiori della basilica di San Pietro, indetto nel luglio 1947 dando seguito alle volontà testamentarie e a una donazione del principe Giorgio di Baviera, sacerdote e canonico ordinario della basilica († 1943). A quell’epoca infatti, ad eccezione della Porta del Filarete, le grandi porte della basilica erano ancora in legno e di modestissima fattura. Tuttavia nessuno degli ottanta bozzetti presentati fu ritenuto idoneo dalla Commissione esaminatrice presieduta dal cardinale arciprete della basilica, che decise allora di premiare con una medaglia d’oro i dodici artisti che si erano distinti in questa prima fase del concorso, invitandoli nel contempo a una seconda prova.
Monsignor Ludovico Kaas, segretario economo della Reverenda Fabbrica di San Pietro e segretario della Commissione per il concorso, decise di affidare — per incarico diretto e fuori concorso — la realizzazione dei due nuovi battenti in bronzo per la Porta Santa allo scultore senese Vico Consorti (1902-1979), uno degli artisti iscritti al concorso per le porte della basilica Vaticana.
Fu sempre monsignor Ludovico Kaas a scegliere il tema della Porta e gli episodi da raffigurare nelle singole formelle, ispirato dalle espressioni suggerite da Pio xii nella sua preghiera: «Concedimi, o Signore, che questo Anno Santo sia l’anno del gran ritorno e del gran perdono» e supportato da alcuni consiglieri, primo fra tutti monsignor Arthur Wynen. [Figura 9]
Realizzata nel 1949 in 9 mesi di continuo e impegnativo lavoro, anche presso la Fonderia Fernando Marinelli, la Porta è costituita da 16 bassorilievi in bronzo dorato raffiguranti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento evidenziati da iscrizioni e da 12 pannelli con gli stemmi dei Papi che hanno celebrato il Giubileo: da Bonifacio viii a Papa Francesco.
Una porta capace di “parlare” alla gente attraverso mirabili bassorilievi che — come scisse il cardinale Angelo Comastri — «fotografano la storia della Misericordia di Dio, che continuamente ci viene incontro: la Porta Santa è un simbolo, che dà visibilità a queste parole di Gesù: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo” (Gv 10, 9)».
di Pietro Zander
Responsabile della Sezione Necropoli e Beni Artistici della Fabbrica di San Pietro