Dieci anni fa lasciava la scena di questo mondo Robin Williams, togliendosi la vita l’11 agosto del 2014. Uno dei più bravi e più amati attori della storia del cinema, di quegli artisti la cui personalità traboccava, usciva fuori dai singoli personaggi da lui interpretati e veniva in modo quasi fisico a toccare le corde del cuore, la sensibilità di tutti gli spettatori dei suoi film, comici o drammatici che fossero. Sulla Rete in questi giorni sono apparsi molti post a ricordarne la parabola, e così, ad esempio, è stata spesso citata questa frase a lui attribuita (con la Rete è sempre complicato distinguere il vero dal fake): «A nessuno di noi è dato soggiornare a lungo su questa Terra. La vita è fugace e se per caso sarete in difficoltà, alzate lo sguardo al cielo d’estate con le stelle sparpagliate nella notte vellutata. Fate che la vostra vita sia spettacolare. Io so di averlo fatto». Vera o falsa colpisce visto che l’attore nato a Chicago nel 1951 ha scelto proprio l’estate per smettere di guardare le stelle.
Così come colpisce un altro “contributo”, riapparso in questi giorni su YouTube che vede l’attore in un video degli ultimi anni, insieme a un altro suo bravissimo collega, l’attore, Philip Seymour Hoffman, ancora più giovane di lui, visto che era nato il 23 luglio 1967 a Fairport, doppiamente “collega” visto che anche lui si è tolto la vita dieci anni fa, il 2 febbraio 2014. Stesso destino quindi, nello stesso anno, per un attore molto diverso, campione nella recitazione come e forse anche più di Williams. Fa quindi molta impressione vederli in questo breve video, in bianco e nero, uno di fronte all’altro, a parlare di quelli che una volta si chiamavano “i massimi sistemi”. L’impatto emotivo che arriva allo spettatore, conscio del destino che lega i due protagonisti del dialogo, è talmente forte che è preferibile ridurre al minimo ogni possibile commento e stare ad ascoltarli.
Hoffman (da ora Psh ) inizia ammettendo di non ricordare più nessuno dei suoi sogni, un fatto che gli dà molto da pensare. E Williams (da ora Rw ) coglie quest’occasione per sfogare tutta la sua rabbia, la sua disperazione, chiedendosi: «Perché siamo qui? Non m’importa. Perché sono qui? Che cosa sto facendo? Perché non me ne sono andato? (...) Sento crescere la speranza, e poi viene portata via».
Psh : Viverlo un giorno dopo l’altro può essere estenuante...
Rw : Sì, puoi essere l’uomo migliore del mondo e comunque essere turbato, comunque non gestire bene la vita... Voglio dire, un ateo che si ritrova all’improvviso ad andare in giro dopo la morte deve rivalutare bene po’ cose.
Psh : Penso... Dico sempre che riguarda la vita di molte persone, ma riguarda la vita di ciascun uomo.
Rw : E dov’è Dio in questa equazione? Perché è lui che ha creato questo.
Psh : Sì, questo è certo.
E qui Williams si rivolge direttamente a Dio, asprezza e sgomento emergono dal tono delle sue parole:
Rw : Perché l’avresti fatto. Perché ci avresti dato questo. È questo? Dov’è Dio? Dove sei? Perché non dici qualcosa? Questo è come una prigione.
E mima la scena di un uomo che da qualsiasi parte si giri va a sbattere contro un muro.
Rw : Quel muro... Sì, quel muro. Quel muro, proprio quel muro. Niente di questo funziona.
Psh : Penso che tutte le persone che conosco, con cui ho parlato, si siano sentite così. Dopotutto ognuno è il protagonista della propria storia, e poi alla fine la vita finisce, sai, e tutte queste domande sorgono in questo tempo.
Rw : Forse è per questo che sono qui. Cerco costantemente un qualche tipo di risposta.
Psh : Alla fine non ci arrivi mai e non capisci mai veramente e non trovi mai davvero la risposta e non sei mai davvero soddisfatto...
Rw : No, sono un uomo. E tu, uomo, non sei la cura.
La cura... Tra le decine dei personaggi interpretati da questi meravigliosi attori ne vengono in mente due, tratti dai due capolavori di P. T. Anderson e di Terry Gilliam: Magnolia del 2000 e La leggenda del re pescatore del 1991. Nel primo c’è Hoffmann che ci regala il personaggio dell’infermiere, un buon samaritano a fianco di un vecchio moribondo, un angelo custode impastato di dolcezza, di forte e fragile umanità. Nel secondo Williams è lo scalcinato e improbabile “buon samaritano” del protagonista, il “caduto” Jeff Bridges. Insieme riescono a rialzarsi o quantomeno a farsi compagnia, e così, aiutando gli altri, Williams riuscirà a sconfiggere il grande “drago” che lo tormenta da anni. Il vero guaritore è sempre un uomo ferito. Così com’era Robin Williams, un artista che ha curato molti spettatori, ferito a morte.