Le vele della vita
“Tanga” in lingua swahili significa “vela”: questo è il nome della casa che i missionari polacchi, due suore di Loreto e un sacerdote della Società Missioni Africane, gestiscono in Tanzania per i bambini affetti da albinismo. Questi giovani, a rischio di morte o mutilazione a causa delle credenze nel “potere magico” che i loro corpi senza pigmenti dovrebbero possedere, non solo vi trovano amore e sicurezza ma imparano anche — come indica il nome della casa — a sviluppare le vele della vita.
Sebbene la Tanzania sia associata principalmente allo splendore dei paesaggi africani, è anche uno dei paesi più poveri dell'Africa, dove alla povertà materiale si aggiunge la ferocia delle credenze pagane. Secondo una di esse, gli amuleti fatti di frammenti di corpi di albini possono essere una garanzia di prosperità. E sebbene sembra si tratti di casi isolati (tanto più che la legge vieta queste pratiche), suor Amelia Jakubik, una delle due suore di Loreto che prestano servizio a Mwanza, in Tanzania, spiega che la brutalità è ancora su base quotidiana: «Qui, nei nostri territori, un mese fa è stata uccisa una bimba di 2 anni; pochi giorni fa una bambina di seconda elementare che stiamo aiutando è stata aggredita in casa e un altro bambino è stato scuoiato», racconta la religiosa, che, insieme a una consorella e a don Janusz Machota gestisce una casa per ragazzi albini. In Tanzania nasce il maggior numero di albini nel mondo. Secondo gli ultimi dati, si tratta di 1 su 1500 nascite.
Casa, non centro
Questa è una distinzione importante, sottolineano i dirigenti. “Vela”, questo è il nome della casa, è stato creato sul modello di una numerosa famiglia tanzaniana, in modo che i giovani membri di essa possano sperimentare appieno il calore della famiglia. «È stata un’idea folle e innovativa di don Janusz. Il suo desiderio era quello di creare proprio una casa, non un altro centro», spiega suor Amelia, matematica di formazione, che in Africa ha abbandonato i conti meticolosi per usare invece “l’aritmetica del cuore”. Inizialmente — prosegue — «volevamo che venissero ad abitarvi quattordici bambini perché le famiglie locali sono numerose. La realtà ha dimostrato che questo non bastava. Al momento ne abbiamo in casa venti di età compresa tra i 7 e 20 anni. Negli ultimi anni sono già salpati per le “vaste acque” della vita quattro persone di cui ci siamo presi cura. Alcuni studiano, altri cercano la loro strada». Senza il sostegno e l’amore ricevuti nella “Vela” non avrebbero creduto in loro stessi: «Il nostro servizio è molto semplice: stare con loro, creare un’atmosfera familiare, un luogo dove possano sentirsi voluti, accettati e amati», osserva la religiosa. E poi, mandarli a scuola, in questo caso in una degli istituti “Montessori” locali. Come dice suor Amelia, l’istruzione non è solo il biglietto verso la realizzazione dei sogni ma anche la risposta alle limitazioni associate all’albinismo: «Non possono fare lavori sul campo o altre attività all’aperto perché l’albinismo li mette a rischio di cancro della pelle e di una serie di altre malattie».
Conosciuti per nome
La “vela” che da quattro anni protegge i bambini tanzaniani cambia non solo la loro vita ma anche l’ambiente locale che inizia a vedere sotto una nuova luce le persone con albinismo, spesso rifiutate non solo dalla società ma anche dai genitori. «Abbiamo ragazzi che sono stati abbandonati all’età di 4 anni. I genitori li hanno lasciati in uno dei centri, poi hanno cambiato numero di telefono e luogo di residenza per interrompere i contatti», ha raccontato la suora lauretana. Purtroppo ci sono molte storie simili. L’antidoto al rifiuto è l’accettazione che si riversa dalla casa nell’ambiente. «Quando abbiamo iniziato sentivamo gridare dietro di noi: “Oh, arrivano gli albini!”. Oggi sentiamo: “Oh, Lilian! Oh, Teresina sta arrivando!”», afferma la missionaria polacca. La casa è spesso visitata dai bambini della zona. Suor Amelia Jakubik, insieme agli altri dirigenti di “Vela”, soltanto negli anni 2021-2022 ha condotto più di duecento seminari sull’albinismo in Tanzania. Paura e vergogna si placano lentamente: «Non dimenticherò mai la gratitudine di una madre quando ha saputo che ci saremmo presi cura di sua figlia, abbandonata alla nascita, quando lei stessa aveva 14 anni. Lei, che un tempo si vergognava della figlia, oggi se ne vanta».
Il potere discreto della fede
Alla domanda su come vengono percepite le attività delle suore sul territorio la religiosa lauretana risponde: «Si rendono conto che non veniamo qui per trarne profitto ma per amarli. E ci accolgono molto calorosamente». L’accoglienza calorosa è seguita anche dalla grazia della fede che «viene discretamente riversata nei cuori dei bambini di cui ci prendiamo cura». La “Vela” non richiede l’appartenenza dei giovani alla Chiesa: «Non chiediamo quali sono la religione e le credenze, accettiamo semplicemente coloro che ne hanno più bisogno», spiega la suora, aggiungendo che tra i bambini ci sono musulmani, avventisti e coloro che cercano la fede. «Abbiamo già tre ragazzi che sono stati battezzati da don Janusz. Non è un nostro merito, non li forziamo, ma mostriamo nella pratica in che cosa consiste la nostra fede. Vedono come preghiamo, come partecipiamo all’eucaristia quotidiana. Vedono da dove prendiamo la nostra forza».
di Dorota Abdelmoula-Viet
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