La Bibbia non è tanto un libro di risposte quanto un libro che ci aiuta a fare le domande giuste. In rare occasioni pone domande direttamente a chi legge. Spetta a noi dare le risposte. Una storia che pone molteplici domande alle quali spetta a noi dare le risposte è quella di Dina in Genesi 34.
Il racconto inizia con Dina, figlia di Giacobbe e Lea, che esce per incontrare le ragazze del paese. Non le incontrerà mai. «Ma la vide Sichem […], principe di quel paese, […] si unì a lei e le fece violenza». Iniziano le domande: vogliamo che Sichem vada in carcere? E se sì, per quanto tempo? Vogliamo che sia castrato o giustiziato? Collocando il passo in un contesto moderno: vogliamo punire le persone che hanno riso insieme a lui quando ha condiviso le foto di Dina con il cellulare o le ha postate in internet?
La Bibbia domanda anche che cosa potrebbe pensare Dina. Sta pregando: «mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonata?».
Apprendiamo poi che, con l’anima (in ebraico nefesh, la sua forza vitale), Sichem «rimase legato a Dina […]; amò la fanciulla e le rivolse parole di conforto». Dice a suo padre: «Prendimi in moglie questa ragazza».
Quando Giacobbe apprende che la figlia è stata “disonorata” – è così che lui vede la vicenda – attende fino a quando può consultarsi con i figli. Se attaccasse, metterebbe in pericolo la sua famiglia. Se non agisse, si dimostrerebbe debole e incapace di proteggere la figlia.
Il padre di Sichem allora fa una proposta a Giacobbe: lascia che i nostri figli si sposino, suggerisce. I nostri figli sposeranno le vostre figlie; le nostre figlie sposeranno i vostri figli; condivideremo la terra e le sue risorse.
Riesco a immaginare Giacobbe che pensa: «Che Dina sposi Sichem, così tutti noi godremo di sicurezza economica e politica». Tutti saranno felici, eccezion fatta, forse, per Dina, che rimane in silenzio. Forse Giacobbe ha pensato: «È meglio sacrificare una figlia che far distruggere tutta la famiglia». Giacobbe agisce come dovrebbe fare un padre? Agisce come deve agire la guida di una comunità? E dov’è Lea, la madre di Dina? Che cosa pensavano le altre donne, quelle israelitiche e anche quelle sichemite?
I fratelli di Dina sono furiosi per l’accaduto. Fanno una proposta ben studiata. «Solo a questa condizione acconsentiremo alla vostra richiesta – dicono ai sichemiti -, se cioè circonciderete ogni vostro maschio». La circoncisione è un segno dell’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele. I fratelli sviliscono questo segno. «Tu hai violentato nostra sorella — pensano — e noi ti infliggeremo un dolore analogo».
Gli uomini di Sichem accettano, perché il loro re ha detto che così possiederanno tutto il bestiame e la ricchezza di Giacobbe. Gli uomini sichemiti si fanno circoncidere. I fratelli di Dina aspettano. Un giorno, due giorni, e il terzo giorno, quando gli uomini «erano sofferenti», Simone e Levi, figli di Giacobbe, uccidono gli uomini e recuperano la sorella. Lo stupro genera una carneficina. E Dina, il cui nome significa “giudizio”, continua a rimanere in silenzio.
La violenza prosegue. Gli altri fratelli di Dina «saccheggiarono la città, perché quelli avevano disonorato la loro sorella». Prendono i loro greggi e i loro armenti, … «tutti i loro bambini e le loro donne» … Che cosa ne sarà di quei bambini e di quelle donne? Distruzione, uccisione, schiavitù e stupro non risolvono il crimine originale; piuttosto non fanno che aumentare la violenza.
Giacobbe dice ai figli: «Voi mi avete messo in difficoltà, rendendomi odioso agli abitanti del paese […] mentre io ho pochi uomini; essi si raduneranno contro di me […] e io sarò annientato».
Nell’ultimo versetto di Genesi 34 i fratelli rispondono: «Si tratta forse la nostra sorella come una prostituta?». Nessuna parola da Dio. Dio non è nemmeno mai menzionato nel capitolo. E nessuna parola da Dina.
Le storie di stupro e di vendetta sono ricorrenti. Nel Secondo Libro di Samuele ( capitolo 13) Tamàr, la figlia di Davide, viene stuprata dal proprio fratello, il principe ereditario Amnòn. Davide si rifiuta di agire, ma il fratello di Tamàr, Assalonne, non solo uccide Amnòn, ma inizia anche una guerra civile contro il proprio padre. La Bibbia ci ricorda che lo stupro accade, e questo anche nelle migliori famiglie. Ci ricorda che gli stupri non vengono commessi solo da persone esterne, come Sichem, ma anche da persone di famiglia come il figlio di Davide, Amnòn. Soprattutto, la Bibbia mostra che la violenza in risposta allo stupro porta ad altra violenza e alla morte.
Che cosa abbiamo imparato? Ecco cinque riflessioni.
1) Non ci viene detto ciò che pensa Dina, quindi dobbiamo darle voce. Ha gioito per l’uccisione di Sichem? Per l’uccisione dei suoi amici? Per il destino delle donne e dei bambini? O la violenza l’ha disgustata? Vuole sposare Sichem? Desidera dargli una seconda opportunità? Devono esserci una terza e una quarta opportunità quando lui continua a usarle violenza e poi, una volta placata la rabbia, le rivolge parole di conforto?
2) Alcuni commentatori antichi hanno suggerito che la colpa dello stupro è di Dina: se non fosse uscita per incontrare le fanciulle – è questo il loro ragionamento – niente di tutto ciò sarebbe accaduto. La Bibbia non dà la colpa alla vittima e nemmeno noi dovremmo farlo.
3) Anche Sichem lo stupratore è fatto a immagine di Dio. Prima della pandemia ho tenuto lezione presso l’istituto di massima sicurezza di Riverbend a Nashville. Tra i miei studenti c’erano uomini condannati per omicidio e stupro, rapina a mano armata aggravata e abuso di minori. Leggendo la Genesi a Riverbend – l’uccisione di Abele da parte di Caino; la violenza di Sichem contro Dina – i miei studenti detenuti hanno affermato di essere qualcosa di più dei loro reati. Sono anche loro uomini con una famiglia, con speranze, con sensi di colpa, con amore. Gesù ha parlato di visitare i carcerati – anche loro fanno parte della nostra comunità. «Le piacerebbe essere conosciuta per la cosa peggiore che ha fatto nella vita?», mi ha chiesto uno dei miei studenti. «Non sono più l’uomo che ero quarant’anni fa quando sono stato condannato per stupro», ha detto un altro.
4) La Genesi ci dice che lo stupro non ferisce solo la vittima: colpisce anche la famiglia e la comunità della vittima, e colpisce altresì il violentatore e la famiglia e la comunità del violentatore. Gli uomini di Sichem vengono uccisi e le donne e i bambini catturati. E soffrirà anche la famiglia di Giacobbe, poiché è costretta a spostarsi: Rachele muore di parto durante quel viaggio. Il trauma continua attraverso le generazioni, fino a Tamàr e Amnòn e oltre.
5) Il racconto ci interroga su Dio. In Genesi 34 Dio non è menzionato. Ma la suddivisione dei capitoli — che verrà fatta secoli dopo — può essere fuorviante. Dio viene invocato nell’ultimo versetto del capitolo 33 e nel primo versetto del capitolo 35. Quindi, silenzio non significa assenza.
La Bibbia ci dice che la violenza genera altra violenza. Riconosce il dolore delle vittime e il bisogno di giustizia. Ci costringe a vedere ciò che preferiremmo ignorare e poi esige da noi che, come comunità, decidiamo il modo migliore per andare avanti.
di Amy-Jill Levine