«La violenza sia
Un’associazione di religiose cattoliche sta provando a cambiare la storia della violenza di genere in Kenya. Il fenomeno è considerato un’emergenza nazionale più che in altri Paesi africani, ma le istituzioni faticano ad arginarlo.
Secondo l'istituto nazionale di statistica keniota, il 34% della popolazione femminile, a partire dall'età di 15 anni, ha subito delle violenze. I femminicidi nel 2022 hanno raggiunto la cifra record di 725.
I dati forniti da UN Women - l’ente delle Nazioni Unite che si occupa di uguaglianza di genere ed emancipazione femminile - evidenziano, sempre nel 2022, che il 41% delle donne sposate ha subito violenza fisica, rispetto al 20% di quelle non sposate. I riflettori su questo dramma si sono riaccesi all’inizio di settembre con l’omicidio della maratoneta ugandese Rebecca Cheptegei che viveva e si allenava in Kenya. L’atleta, 33 anni, era da poco tornata dalle Olimpiadi di Parigi, e quel giorno, una domenica, era appena stata in chiesa con i suoi due figli. Il suo compagno, il keniano Dickson Ndiema Marangach, dopo l’ennesimo litigio l’ha cosparsa di benzina e le ha dato fuoco nella sua casa di Endebess, nella contea occidentale di Trans-Nzoia, dove aveva acquistato un pezzo di terreno. Ustioni sull’80% del corpo, non è sopravvissuta.
Quello dell'Associazione delle Suore del Kenya ( aosk ) è un sottile lavoro di “cucitura” istituzionale . Si tratta di una organizzazione di diritto pontificio fondata nel 1962, e formata da donne consacrate in costanti e continue relazioni con la Santa Sede, nell'ambito della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
L’ aosk nei mesi scorsi ha chiesto ufficialmente al governo keniota un cambio di passo per affrontare la violenza di genere. Lo ha fatto con una petizione indirizzata al presidente William Ruto, attraverso l'ufficio del Segretario di Gabinetto per le questioni di genere Aisha Jumwa. Le suore cattoliche, provenienti dalle 47 contee del Kenya, hanno delineato una serie di misure concrete che lo Stato dovrebbe prendere in considerazione per contrastare questo problema drammatico. A farsi portavoce della richiesta è stata suor Pasilisa Namikoye, segretario esecutivo dell’ aosk . «Esortiamo il governo del Kenya, attraverso l'ufficio del Presidente William Ruto, a dichiarare la violenza di genere una “catastrofe nazionale” e a mettere in atto misure adeguate per affrontare il problema», ha dichiarato suor Namikoye, illustrando le linee guida proposte.
In uno dei primi punti le raccomandazioni delle suore cattoliche includono la creazione di case sicure accessibili per le vittime di violenza di genere.
L’associazione ha anche insistito sulla necessità di formare gli agenti di polizia su come gestire i casi di violenza di genere e intraprendere azioni forti contro gli autori degli abusi.
Le suore chiedono inoltre al governo di istituire un registro nazionale degli autori di violenza in tutti gli uffici amministrativi e le stazioni di polizia del Paese, in modo che i criminali possano essere più facilmente identificati. Hanno inoltre espresso il loro impegno, come appartenenti alla Chiesa cattolica, ad intensificare gli sforzi per combattere questo fenomeno e collaborare con le autorità per qualsiasi soluzione risolutiva. Rappresentano una forza forte: in Kenya ci sono mille parrocchie e quasi seimila religiosi. Un terzo della popolazione è cattolica.
Ad interloquire con l’ aosk è stata Anne Wang’ombe, Segretario Principale presso il Dipartimento di Stato che si occupa di seguire l’emergenza all’interno del Ministero per le questioni di Genere, la Cultura, le Arti e il Patrimonio della Repubblica del Kenya.
Wang’ombe ha accolto con favore e lodato il passo compiuto dalle suore cattoliche. Il Segretario Principale ha affermato che la lotta contro la violenza di genere «è una campagna che richiede la partecipazione di tutti, compresa la Chiesa cattolica».
Ha inoltre affermato che il Ministero ha elaborato una serie di misure, alcune delle quali attuate, come la legge sui reati sessuali e la legge sulla protezione dalla violenza domestica, che stanno iniziando a produrre i primi frutti con la diminuzione dei casi di mutilazioni genitali femminili. «Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Dobbiamo essere tutti coinvolti perché questa non è una guerra che possiamo vincere da soli», l’appello di Wang’ombe. La suore ci stanno e sono pronte a tendere a mano, in attesa di ottenere quel primo traguardo — cioè dichiarare la violenza di genere “catastrofe nazionale” — che aprirebbe le porte ad una svolta senza precedenti.
di Gelsomino Del Guercio
Giornalista
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