Curare i malati non era affatto l’occupazione principale degli ospedali del Medioevo, chiamati hospitia, dove trovavano rifugio viandanti, poveri e emarginati. Che qualcuno potesse avere problemi di salute era naturale, visto che gli accolti presentavano patologie dovute alla mancanza di cibo e alle condizioni di vita. Sibilla De Cetto, illustre donna di Padova, nel 1414 ha il merito di erigere un hospitium che sia invece aperto principalmente per gli ammalati. Il suo Ospedale di San Francesco Grande è il primo ospedale moderno, una opera all'avanguardia che De Cetto progetta nei terreni di sua proprietà e alla quale lascerà tutta la sua strabiliante fortuna. La ragione che la anima è una sola: dimostrare la propria devozione a san Francesco attraverso una opera che possa alleviare le sofferenze degli ultimi proprio nel cuore di Padova, in un’epoca turbolenta e segnata vistosamente dalle lotte di potere.
Sibilla De Cetto, come Francesco di Assisi, è figlia privilegiata di quel potere. Nata intorno al 1350, suo padre è un ricco mercante che vanta legami influenti con i Carraresi, la famiglia che ha trasformato Padova in una piccola potenza, fiera e indipendente dalle vicine Milano e Venezia. In quegli anni sotto i portici della città è possibile imbattersi in un altro Francesco conosciuto in tutta Europa, il poeta Petrarca, che non casualmente ha scelto di passare qui l’ultima parte della sua vita per poi morire in un piccolo paese a pochi chilometri di distanza, Arquà. Il padre e la madre di Sibilla amano accumulare ricchezza ma allo stesso tempo sono devoti ai frati francescani che gestiscono l’eredità di sant’Antonio, il santo portoghese morto proprio a Padova oltre un secolo prima, nel 1231, quando aveva soltanto trentasei anni. Molte sono le opere benefiche sorte intorno alla basilica che contiene le sue spoglie, eppure Padova è soprattutto indaffarata con le conquiste di nuovi territori, con il commercio, con gli affari e lo stesso padre di Sibilla presta soldi a interessi usurai.
Sibilla De Cetto non ha lasciato testimonianze scritte eppure sappiamo dai documenti dell’epoca che nel 1370, quando ha appena vent’anni, sposa un uomo di fiducia dei Carraresi. Si chiama Bonaccorso Naseri di Montagnana, personaggio capace e dotato di grandi doti diplomatiche. Grazie a questo matrimonio, Sibilla De Cetto diventa una delle donne più influenti e ricche di Padova e presto mette al mondo due bambini che purtroppo muoiono molto presto, ancora piccini. Un dolore immenso, e non l’unico. Sono infatti i rivolgimenti e gli intrighi politici a segnare il destino dei suoi anni futuri, specialmente perché Padova è contesa da una parte dal Granducato di Milano e dall’altra dalla Repubblica di Venezia. Il primo a mettere le mani sulla città è Gian Galeazzo Visconti, granduca di Milano, con il quale il marito di Sibilla De Cetto stringe immediatamente un patto di fedeltà. Passando velocemente da un casato all’altro, Bonaccorso pensa in questo modo di salvare la propria famiglia dalle ritorsioni dei nuovi padroni di Padova, ma presto scoprirà di aver compiuto un errore tremendo. I Carraresi riescono a riconquistare Padova e il primo a essere impiccato pubblicamente per alto tradimento è Bonaccorso Naseri di Montagnana.
Sibilla De Cetto in pochi mesi si ritrova a essere vedova di un traditore e sprovvista della famiglia influente dalla quale era nata, visto che i genitori sono morti. Nonostante il suo essere donna, condizione all’epoca molto poco vantaggiosa, cita dunque in giudizio il suocero che le ha sottratto tutti i beni del marito in seguito all’esecuzione. Il pensiero probabilmente è che la donna non debba più godere delle proprietà dei Bonaccorso poiché non deve crescere dei figli. Tuttavia una sentenza storica le accorda la ragione e la donna può ora godere di una fortuna davvero potente che la trasformerà in una imprenditrice ante litteram. Sibilla De Cetto ora non ha più bisogno di risposarsi e d’altronde sa come amministrare autonomamente il proprio tempo: da un lato la devozione religiosa, e dall’altro le letture impegnate. Nella sua casa sono stati rinvenuti i volumi di Orazio, Ovidio, Virgilio, oltre naturalmente alle Sacre Scritture. È una donna colta e raffinata, e per questa ragione i Carraresi combinano per lei nuove nozze, alle quali non può sottrarsi, con Baldo de’ Bonafari, giurista e diplomatico. Nonostante sia un matrimonio di interesse, i novelli coniugi scoprono di avere in comune non soltanto l’amore per il sapere ma anche la profonda devozione per gli insegnamenti francescani. Entrambi, poi, sono convinti che la ricchezza debba essere messa al servizio “delle anime e dei corpi” di chi è svantaggiato, e per volontà di Sibilla insieme cominciano a progettare la Scuola di Carità e l’ospedale di San Francesco Grande, che per secoli sarà l’unico vero ospedale di Padova. L’idea di Sibilla De Cetto nasce dall’incrocio delle due massime istituzioni della Padova di inizio Quattrocento: da un lato la basilica di Sant’Antonio con la sua spiritualità francescana e il dovere di aiutare i poveri, e dall’altro l’Università patavina che al tempo può vantare tre secoli di storia ed è considerata uno dei centri del sapere più importanti d’Europa, anche in ambito medico. Spiritualità e medicina, scienza e carità. Sibilla De Cetto insieme a Baldo de’ Bonafari riesce a coniugare i due aspetti usando pragmatismo e, soprattutto, la volontà di impiegare nel progetto tutto ciò che possiedono.
Entusiasta per l’impresa, Sibilla De Cetto immagina le sue opere sorgere nuove e funzionali. Il terreno è di sua proprietà, quella che ha ereditato dai genitori. Per rimanere vicina al nuovo ospedale in costruzione la donna lascia la casa del marito in piazza Duomo per tornare a vivere in una delle case paterne. Qui gestisce i lavori dell’Ospedale di San Francesco Grande al quale aggiunge una chiesa e un convento francescani e la Scuola della Carità, dove una confraternita laicale amministrerà i lasciti ai malati dell’Ospedale e ai padovani bisognosi. Soltanto in un secondo momento il marito Baldo de’ Bonafari abbraccia il disegno della moglie compiendo due scelte significative. Nel 1405, quando la Repubblica di Venezia conquista definitivamente Padova, decide di ritirarsi dalla vita pubblica e dal suo incarico diplomatico per dedicarsi unicamente alle opere religiose insieme a Sibilla. Inoltre cambia il testamento, lasciando alla moglie tutto ciò che ha accumulato. Sa che quelle ricchezze saranno impiegate per gli edifici intitolati a san Francesco, tra i quali l’Ospedale, e dall’ottobre del 1414, quando comincia la costruzione, Sibilla De Cetto e Baldo de’ Bonafari sono assorbiti dalle loro opere di carità che dovranno accogliere i malati, dando loro la possibilità di intraprendere un percorso francescano una volta guariti. Sibilla De Cetto rimane vedova nel 1418 e dunque amministratrice e governatrice unica dell’Ospedale Grande di San Francesco. Lascia le sue volontà, in modo che la gestione della struttura sia affidata a un organo indipendente, il collegio dei Giuristi di Padova. Quando si avvicina la morte nel 1421 scrive di voler lasciare tutto ciò che possiede ai «poveri in Cristo». L’Ospedale Grande di San Francesco diventa presto un luogo di eccezionale unicità, grazie anche alla cooperazione dei medici e degli studenti dell’Università di Padova che arrivano nelle corsie e nei reparti per sviluppare la medicina clinica, un modello che poi sarà adottato negli ospedali moderni.
Di Sibilla De Cetto rimane un unico ritratto nella Scuola della Carità che lei ha costruito. Abbigliata in stile monacale, con ampie vesti colore del cielo, consegna alla città l’ospedale che rimane aperto fino al 1798. Oggi è un Museo della Storia della Medicina, mentre sopravvivono la chiesa, il convento divenuto collegio universitario e la Scuola della Carità, divenuta poi Cattedra di Cultura Francescana. Un lascito nei secoli come era desiderio di Sibilla De Cetto.
di Laura Eduati
Giornalista, insegnante e scrittrice
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