Ieri, mercoledì 8 gennaio, è morto, a 89 anni, Fabio Cudicini, uno dei grandi portieri del calcio italiano negli anni Sessanta. Soprattutto con il Milan compì grandi imprese e il suo palmarès parla chiaro, anche se gli mancò di giocare in Nazionale. Il Ragno Nero fu ribattezzato, un appellativo preso in prestito da Lev Jascin, il portiere russo che vive, nel ricordo di tutti gli appassionati, sull’Olimpo non solo dei portieri ma di tutti i calciatori della storia di questo sport così “mitico” e popolare.
Anche Papa Francesco è un appassionato di calcio e ha spesso ricordato i tempi in cui giocava “anche” in porta: «Da piccolo mi piaceva il calcio, ma non ero tra i più bravi» ha confidato il 2 gennaio 2020 alla «Gazzetta dello Sport», «anzi ero quello che in Argentina chiamano un pata dura, letteralmente gamba dura. Per questo mi facevano sempre giocare in porta. Ma fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte».
Il calcio come scuola di vita, è la stessa conclusione a cui è arrivato Albert Camus grande romanziere ed ex-portiere di calcio: «Quando si è tra i pali ci si accorge di quanto sia difficile quel ruolo» ebbe a dire in una intervista fattagli dopo la vittoria del Premio Nobel per la letteratura nel 1957.
Nel 1930, solo diciassettenne, aveva fatto il portiere nel Rua, la squadra dei francesi d’Algeria, che ancora gli faceva battere il cuore quando, a distanza di anni, ne sentiva pronunciare il nome e nella sua formazione il calcio rappresenta un’esperienza morale che lo scrittore, in un testo che risale sempre al 1959, accosta a quella del teatro in un passaggio che ha il valore e la forza di un aforisma: «Veramente, quel po’ che so di morale, l’ho appreso sui campi di calcio e sulle scene di teatro, che resteranno le mie vere università».
Nel libro Portieri, I numeri 1 del calcio, l’autore Daniele Colasuonno riflette sull’estrema solitudine del primo numero di una squadra di calcio:
Il Portiere è un uomo solo.
Solo vestito in modo diverso da tutti gli altri.
Solo con 10 compagni di spalle e 11 avversari di fronte.
Ci sono difensori, centrocampisti, attaccanti ma alla fine dei conti, è solo.
Solo quando deve tirar fuori la miglior prestazione.
Solo quando deve, a malincuore, raccogliere un pallone nella rete.
Solo quando para salvando il risultato e stringe a sé i pugni.
Solo quando per un suo errore la squadra perde e il peso della sconfitta è tutto sulle sue spalle.
Solo il sabato sera quando non fa a meno di pensare alla partita.
Solo durante gli allenamenti, quando deve allenarsi a parte dal resto del gruppo.
Solo, quando deve motivare un compagno che fa più fatica.
Solo, quando deve tenere gli animi dei compagni a freno.
Solo quando prende le difese della squadra.
È un ruolo stupendo per pochi eletti.
Se pari bene sei il migliore, se sbagli sei il capro espiatorio.
Ma alla fine, sarà sempre pronto a caricarsi di responsabilità e non si tirerà mai indietro, pronto anche a pagare per tutti.