Il racconto del sabato

La ragazzina
e la signora dei libri

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11 gennaio 2025

di Dacia Maraini

Il buio scende sulla piccola città chiusa fra le montagne. Una ragazzina bionda legge al lume di candela. La guerra è finita da poco. C’è fame in giro. Per quanto in alcune case sia già stata installata la luce elettrica, nella loro casa non è arrivata. Appena imbrunisce gli abitanti della piccola città accedono dei rozzi lumi a petrolio che rischiano continuamene di cadere e incendiare il tutto. Ma la ragazzina non può rinunciare a leggere. È la sua passione. Divora i libri come fossero cibi prelibati di cui non si sazia mai.

La ragazzina porta le scarpe risolate, si mette addosso gonne allungate con stoffe diverse, si infila maglioni che le stanno o troppo stretti o troppo larghi, resti del guardaroba di sua nonna. Per uscire si calca in testa un cappelletto a cui è molto affezionata, venuto fuori dalle mani pazienti di sua madre, di morbido velluto cremisi.

La cosa più preziosa però è una vecchia bicicletta di suo padre, troppo alta per lei, ma a cui si è abituata e che inforca saltando sul predellino mentre la manda giù per la discesa. Con quella bicicletta vola per le vie scoscese della minuscola città. Molte volte è caduta sbucciandosi a sangue le ginocchia. Ma non per questo ha mai pensato di rinunciarvi.

Ogni mattina la ragazzina bionda pedala fino alla scuola e lì abbandona la bicicletta appoggiandola contro un palo. Sebbene molti amerebbero possedere una bicicletta in quei grami anni del dopoguerra, nessuno oserebbe rubare la bici di una compaesana. La comunità è compatta, occhiuta e vigile.

A scuola la ragazzina ritrova i suoi compagni, le sue compagne, con cui ha una buona intesa. Discutono, giocano. Lo studio è un sottofondo doveroso a cui si assoggettano con pazienza. I professori volonterosi corrono su e giù chiusi dentro cappotti lisi, pronti a sbraitare per ogni sciocchezza, ma anche attentissimi alle grandi voci della letteratura italiana che sono state censurate dal fascismo.

Giorni fa il professor Casà che è piccolo, magrissimo e corre sbuffando finché non prende posto con un salto sulla sgangherata sedia in bilico sulla cattedra, ha portato in classe un libro appena uscito e ha letto agli alunni con voce squillante e orgogliosa alcune pagine. Il libro si chiama Cristo si è fermato a Eboli. L’autore, ha chiarito il professore, è un medico scrittore che ha combattuto contro il fascismo e per questo è stato mandato al confino in Lucania. Il libro racconta di questa esperienza.

La ragazzina si è subito appassionata a quel racconto e voleva continuare dove il professore Casà si era fermato, ma non sapeva dove cercare il volume.

Nel pomeriggio aveva afferrato la bicicletta e aveva pedalato fino alla biblioteca della parrocchia, l’unica del paese e aveva chiesto del libro di Carlo Levi ma non lo aveva trovato. Un prete gentile le aveva risposto che quella non è letteratura ma politica e nella loro biblioteca non tenevano libri di politica.

Uscendo delusa la ragazzina era stata fermata sulla soglia da una vecchiarella tutta ingobbita e con un ciuffo di capelli bianchi legati sulla testa che l’aveva presa per un braccio e le aveva detto che se la seguiva fino a casa le avrebbe prestato un libro emozionante.

La ragazzina l’aveva seguita fra i vicoli, e arrivati davanti a un portone sgangherato, aveva aspettato che la vecchiarella sorridente spingesse la vecchia porta di ingresso. Dentro era buio, e c’era una scala ripida che la donna aveva salito quasi di corsa. La stanza in cui l’ha introdotta aveva il soffitto basso, ma le pareti erano occupate da librerie di legno fitte di volumi di tutti i colori. «Ecco, prova a leggere questo, ti piacerà», aveva detto mettendole in mano un volume dalla copertina verde.

«Vuoi una mela?» aveva aggiunto con voce gentile e la ragazzina guardandosi intorno si era accorta che in quella oscura e poverissima cameretta i capelli bianchi della donna sembravano emanare una luce misteriosa. Era quasi una spelonca da maga, come aveva letto in un recente libro di fate e improvvisamente pensò che presto avrebbe visto una pentola che fumava sul fuoco in cui bollivano zampe di rana e piume di corvo. Le streghe non porgono mele rosse, come era successo a Biancaneve?

Ma poi aveva riso di sé. Fino a ieri aveva letto soprattutto libri per bambini, con abbondanza di fate e di maghi. Ora stava per passare alla lettura di libri per adulti, anche se era solo arrivata ai tredici anni.

Aveva afferrato il libro, aveva ringraziato e si era messa a saltare sui ripidi gradini in discesa. Quando stava per uscire in strada aveva sentito la voce della donna che gridava «Hai dimenticato la mela, bambina!». E lei si era fermata un attimo pensando di tornare indietro ma poi era scappata a casa per riprendere la lettura. Dei compiti si dimenticava spesso e per questo non prendeva dei grandi voti, ma pure, quando la professoressa parlava di storia, lei ne sapeva più delle altre, perché aveva letto tanti libri, fra cui alcuni che raccontavano vicende dell’antichità.

«Dove hai preso quel libro?» le aveva chiesto sua madre appena l’aveva vista rientrare di corsa. Conosceva la passione della figlia per la lettura e siccome non aveva soldi da spendere, temeva che lo avesse preso a credito.

«Me l’ha dato una strega buona» aveva risposto tranquilla. E la madre si era messa a ridere.

«Scommetto che ancora una volta hai fatto un debito con la libraia».

«Ha una stanza piena di libri».

«Ma chi?».

«Una donna anziana, che vive dalla parte del campo di calcio».

«Non sarà Marianna, la nonna di Gianni? da quando ha perso la figlia e il marito deportati in Polonia vive sempre chiusa in casa».

«In Polonia come mai?».

«A morire».

«Come a morire?»

«Beh, sì. I nazisti li portavano in Polonia, li mettevano in uno stanzone pieno di gas e si divertivano a guardarli morire. Non lo sapevi?»

La ragazzina si era ricordata di avere letto qualcosa su quei morti ma non sapeva perché li ammazzassero. E lo chiese alla madre.

«Perché erano ebrei bambina mia», aveva risposto lei.

«E cosa avevano fatto di male?».

«Niente. Erano ebrei e basta».

La ragazzina aveva capito che da quel momento pensieri e domande nuove avrebbero abitato nella sua mente. Perché si uccide? Chi uccide e chi è ucciso e perché e quando e dove? Era la guerra o altro? Un popolo può essere colpevole solo perché crede in un Dio diverso?

Appena pranzato si era precipitata nella sua mansarda della grandezza di una cabina telefonica per leggere quel libro prezioso che si chiamava L’Agnese va a morire, ed era stato scritto da Renata Viganò.

Qualche giorno dopo, andando a scuola a piedi perché a bicicletta aveva una gomma sgonfia, si era imbattuta nella anziana dei libri.

«L’hai finito il libro che ti ho dato?»

«L’ho finito».

«Ti è piaciuto?»

«Sì molto».

«Se vieni da me ti do qualche altro libro che ti può piacere. Vicolo dei gatti, 22», aveva aggiunto e poi era sparita come se non fosse mai esistita.

La storia della umile lavandaia che, dopo la deportazione del marito diventa staffetta partigiana l’aveva incuriosita e appassionata tanto che le era venuta voglia di saperne di più. Così quel pomeriggio aveva preso il libro da restituire ed era andata a trovare la vecchiarella arrampicandosi sulle ripide scale di pietra.

La donna che la ragazzina dentro di sé chiamava la fata dei libri, le aveva aperto la porta con un sorriso gentile.

«Mi presta un altro libro sulla guerra?» le aveva chiesto.

E la fata le aveva fatto cenno di tacere, alzando un dito davanti alle labbra.

«Io so cosa ti serve» disse guardandola con due occhi piccoli e luminosi contornati da tante rughe profonde. «Io so cosa manca a quella testolina pensante». E si era messa a ridere.

Dentro la bocca rugosa aveva una fila di denti piccoli e bianchissimi. Che siano falsi? aveva pensato la ragazzina. Ma che importanza aveva? Eppure il candore smagliante di quei capelli annodati sulla nuca, il bagliore di quegli occhi di un celeste stellare e il biancore dei denti sembravano parlare di un’altra donna, molto giovane e bella. C’era qualcosa di contraddittorio e misterioso in quella anziana e questo la incuriosiva. Da dove spuntava quel corpo che sembrava trasparente tanto era leggero, quella persona segreta che in paese nessuno conosceva seppure la sua casa sembrasse viva e abitata da tanti anni?

Ne aveva parlato con i suoi compagni di classe, ma nessuno sapeva chi fosse. «Non conoscete Marianna, la nonna di Gianni?».

«Marianna è morta da anni», le aveva risposto la piccola Adriana che conosceva bene gli anziani del paese perché a tempo perso faceva la postina al posto dello zio claudicante.

Tornando a casa, la ragazzina aveva riferito alla mamma che la fata dei libri non poteva essere Marianna perché era morta da anni. Ma chi poteva abitare in quella casa dagli scalini ripidi e la stanza piena di libri?

«Ah forse sì, è vero», aveva risposto distrattamente la madre, «mi ero dimenticata che se n’era andata, povera Marianna che amava tanto leggere e viveva in mezzo ai libri dopo essere rimasta sola senza il marito e i due figli che erano stati deportati ad Auschwitz».

«Ma la fata dei libri è viva», risponde con sicurezza la ragazzina e se ne va nella sua mansarda stringendo al petto il nuovo libro che le aveva messo fra le mani la vecchiarella ingobbita dagli occhi lucenti. Apre a caso e legge: «Ha fame Pin, di quest’epoca sono mature le ciliege, ecco un albero, che sia sorto lì per incantesimo? Pin si arrampica fra i rami e comincia e sfrondarli con diligenza. Un grosso uccello gli piglia il volo quasi fra le mani…..» legge con occhi avidi la ragazzina.

Poi, spegnendo con la mano un conato di sonno continua: «Basta un grido di Pin, un grido per cominciare una canzone» … Ma il sonno le rende pesanti le palpebre. Il libro le scivola di mano, cascando per terra. La copertina cosparsa di macchie di ruggine le salta agli occhi. Sopra c’è scritto: «Il sentiero dei nidi di ragno, di Italo Calvino».

La ragazzina lo raccatta da terra, riapre le pagine e scopre proprio sotto il titolo, una scritta in inchiostro blu: «In memoria della amica Marianna, morta per mano di un cecchino, sulle montagne del Cadore».

La ragazzina è presa da un moto di sconcerto. Si alza, e vincendo il sonno si precipita verso la casa del vicolo dei gatti. Sale le scale di pietra nel buio dell’androne vuoto. Arriva al primo piano. Suona al campanello. Nessuno risponde.

Bussa forte con le nocche strette. Infine, sente dei passi e qualcuno apre la porta. Sulla soglia appare una donna in pantaloni e grembiule, i capelli scarmigliati, gli occhi gonfi.

«Cerco la signora dei libri» dice la ragazzina.

«Chi, Marianna? È morta da tempo figlia mia».

«Ma chi abita qui?».

«Io» risponde lei e fa un gesto come per lisciarsi i capelli scarmigliati.

«Ma… e i libri?».

«I libri li ho venduti, ragazzina cara, io ho i miei mobili e quando ho comprato la casa ho levato tutto... Non valevano neanche un granché. Erano vecchi e polverosi».

La ragazzina cerca di allungare lo sguardo dietro la donna e in effetti non vede più i libri che stavano sugli scaffali giorni addietro.

Nello stupore le si chiude la gola. Non riesce a dire una parola a quella donna che la guarda sorpresa. Coi libri ha buttato via la memoria, pensa, ma io la ravviverò, perché io amo i libri, si dice, e saprò ancora parlare con la fata.

Scappa via avvolta in un silenzio irreale mentre due lacrime salate le rigano le guance infreddolite.