La speranza di pace dei più piccoli a Gaza nella testimonianza di padre Faltas

I bambini esultano
Non deludiamoli

Palestinians react as they wait for news of a ceasefire deal with Israel, in Khan Younis in the ...
17 gennaio 2025

da Gerusalemme
Roberto Cetera

«Un turbinio di chiamate e di messaggi mi sono arrivati appena le agenzie l’altra sera hanno iniziato a battere la notizia del raggiungimento di un accordo per la tregua a Gaza. Ma, tra i primissimi messaggi, i più belli sono quelli che mi sono arrivati dai bambini feriti a Gaza, che nella primavera scorsa avevo collaborato, insieme al governo italiano, a portare negli ospedali italiani. Mi hanno scritto dall’Italia e in italiano, che ormai dopo 10 mesi hanno imparato “Abuna, abuna! È finita! È finita la guerra!”. Mi hanno commosso alle lacrime». Il Vicario della Custodia di Terra Santa, padre Ibrahim Faltas, che in questi 15 mesi di guerra, è stata la voce ovunque riconosciuta degli innocenti, dei deboli, dei bambini, dei cristiani che hanno sofferto la tragedia della guerra, così confida al nostro giornale i sentimenti provati nelle ore successive all’annuncio dell’accordo.

Ora, sedimentate le emozioni, padre Ibrahim offre dei ragionamenti che, non smorzano certo, ma affievoliscono gli entusiasmi delle prime ore. «Vi sono forze all’interno di entrambi gli schieramenti, e forse soprattutto nel fronte israeliano, che hanno mal digerito questo primo passaggio verso la pacificazione, e che stanno attrezzandosi a sabotare in varie forme l’accordo».

Mentre padre Faltas ci dice questo, arriva un lancio d’agenzia che sembrerebbe confermarlo: il premier israeliano Netanyahu accusa Hamas di voler rivedere all’ultimo minuto alcune parti dell’accordo, facendo intendere che la firma potrebbe saltare, ma Hamas respinge questa versione, dichiarando invece il proprio convinto assenso al testo redatto dai mediatori. «Scaramucce — continua padre Ibrahim — che però fanno capire come l’accordo sia originato da una pressione esterna alle parti piuttosto che dalla sincera preoccupazione per la sofferenza che su entrambi i fronti è stata vissuta in questi lunghi mesi di guerra».

Alla domanda su quali sono le reazioni raccolte in queste ore, padre Faltas risponde che «a parte una piccola minoranza fanatica che avrebbe voluto la continuazione del conflitto, fino alla cancellazione di Gaza dalle mappe, la maggioranza delle persone esprime un sentimento di soddisfazione, tanto a Tel Aviv quanto a Gaza. Attenzione a non confondere queste manifestazioni di soddisfazione come esaltazioni per una vittoria, perché qui nessuno ha vinto e tutti hanno perso. Lo diceva san Giovanni Paolo II “La guerra è sempre una sconfitta”. La gente a Gaza è allo stremo, l’80% delle case è distrutta, al nord forse anche di più. Le tendopoli sono immense e mancano cibo ed acqua. Io spero che il primo effetto della tregua possa essere il massiccio ingresso di aiuti umanitari. Ho parlato questa mattina con i diplomatici di alcuni paesi vicini che mi hanno assicurato che già sono pronti 600 camion al giorno pieni di viveri e materiale sanitario. Spero che possano essere presto realizzati anche degli ospedali da campo che sostituiscano quelli bombardati e distrutti. Non dobbiamo poi ignorare anche la sofferenza che c’è nella parte israeliana; penso agli ostaggi ma anche alle tante famiglie che sono rimaste sconquassate da questi mesi di guerra, ai profughi dall’alta Galilea per esempio. Credo anche che, oltre agli aiuti umanitari, la comunità internazionale possa anche dare un contributo in termini di sicurezza ed interposizione tra le parti». Padre Ibrahim è recentemente tornato dalla Siria, altra terra segnata da anni di guerra: «Ho visto un Paese distrutto che richiederà anni per essere ricostruito, e ho visto anche la condizione sempre precaria della popolazione cristiana — racconta —. Ma mi dicono che la distruzione a Gaza sia anche peggiore di quella siriana. È mia intenzione, appena sarà possibile, recarmi anche a Gaza e concorrere agli aiuti urgenti che richiede». 


Leggi anche:

In attesa del via libera di Israele

Intervista all’attivista per la pace Gershon Baskin
di Roberto Cetera